Dodici mesi in un giorno, carnevale popolare in Terra di Lavoro
– La Canzone dei Dodici Mesi è uno dei più diffusi esempi di teatro popolare connesso al Carnevale. Nel Casertano, a San Marco Evangelista, a Castel Morrone, a Capodrise, a Gricignano, Macerata Campania, Pignataro, Carinola, durante il Carnevale gruppi di uomini si riunivano e giravano per il paese, delle volte su cavalli e/o asini, e declamavano le caratteristiche dei mesi, impersonati da figuranti in costume. In genere la rappresentazione prevede un prologo, delle volte recitato da un Pulcinella, o da un Capitano, accompagnati da altri personaggi accessori:
Io songo Pullecenella io so’ cetrulo e piscio trulo vengo d’Acerra cu chesta mia barba e cu chesto mio cordone d ‘a santa benerrezione a tutta ‘sta pupulazzione.
Poi la scena è ovviamente tutta per il susseguirsi dei mesi. Il tono è ovviamente quello carnascialesco, tra il comico e l’iperbolico, dove il pubblico interagisce nel rispetto di quelle caratteristiche del Carnevale folklorico in cui è difficile stabilire un punto di separazione tra performance e chi assiste. La conclusione è, come spesso accade se non sempre, ritualmente connessa al mangiare e al bere, offerto agli attori dalla comunità. Questa forma di teatro prevede spostamenti di piazza in piazza e di cortile in cortile e quindi delle ripetizioni cadenzate: non c’è uno stage o un palco, a simbolica dimostrazione ancora una volta dell’assenza di barriere. E di simboli è pieno il testo. Se Gennaio, ad esempio, fa a cazzotte cu li pecurare e a cacciauocchie cu ‘e putature, come esempio di lavori agricoli non praticabili per le condizioni atmosferiche del mese, Giugno, al contrario, cu sta mia sarrecchia tanno mèto, quanne sto’ in chichierchia, segnala la piena ripresa delle attività nei campi. E se Luglio, cu stu carro rutto, iateme a chimma’ nu poco ‘a meglia figlia ro mannese, che tengo duie palle appese e ‘sta terra m’ha rutto lu carre e lu carrese, è caratterizzato dalla calura insopportabile, Aprile, e gli alberi aspettano a me pecchè guarisco la terra, segna la rinascita della vita, Febbraio invece si caratterizza per la sua brevità: I’ so’ Frevaro, curte, amaro e peggio ‘e tutte! Che guerra pozzo fa’ ind’a vintotte juorne? Ma si m’acalo ‘nterra e piglio ‘a frusta, ve faccio vuta’ pe’ ‘n’ora attuorno attuorno.
Alcuni, e nello specifico mi riferisco a Roberto De Simone, hanno suggerito anche interpretazioni profonde, a sfondo junghiano, del testo recitato. Per chi volesse approfondire si suggerisce il testo Carnevale si chiamava Vincenzo, scritto da De Simone e Annabella Rossi, che nonostante l’età (fu pubblicato nel 1977) presenta ancora una sostanziale validità analitica e molti elementi di interesse.
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