Gli ultimi giorni di Carnevale, la destinazione è Montemarano
– Come già ricordato in un precedente articolo su Ondawebtv, la festa di Sant’Antonio Abate di metà gennaio celebra l’inizio di un periodo estremamente particolare e interessante dal punto di vista antropologico. È il Carnevale, che procederà fino al Martedì Grasso, per poi lasciare spazio alla Quaresima. Lo stesso termine ha a che fare proprio con l’inizio del digiuno (carnem levare) e indicava la cena rituale e pantagruelica che in passato si svolgeva proprio la sera prima del Mercoledì delle Ceneri.
Pur non coincidendo alla perfezione con il periodo, il carnevale contemporaneo è noto essere simbolicamente molto vicino alle feste dionisiache greche e ai saturnali romani, per le caratteristiche rituali di trasgressione, mascheramento e di ricerca di un divertimento anche sfrenato. Ai Saturnalia sono legati due modi di dire: Semel in anno licet insanire e Dulce est desipere in loco (quest’ultima frase è di Orazio che consiglia a Virgilio di mescolare a tempo e luogo debito un po’ di follia alla saggezza).
In ambito cristiano le declinazioni del Carnevale sono state diverse nel corso dei secoli e dei luoghi. Certamente le Tomfooleries, presenti nel mondo anglosassone, hanno moltissimi punti in comune col carnevale, così come le feste francesi note come le Fêtes des Fous, che sono anche collegabili al medievale Charivari. Le caratteristiche e i significati, come vedremo di seguito, sono analoghe.
Ma prima di entrare nel merito di una analisi antropologica vorrei spendere due parole sui carnevali nelle nostre zone. È probabile che il Carnevale più noto sia quello di Capua, con i suoi carri e le sue mascherate, che parecchi hanno avvicinato a Viareggio e Putignano, almeno nel periodo di splendore. È una tradizione non antichissima, che nasce alla fine del XIX secolo e certamente è molto coinvolgente, specie per i locali.
Di altra natura, che per formazione professionale sento più miei, sono i carnevali folklorici. Rimandando ad altro luogo la discussione sul mutamento di questi rituali, che pian piano vengono reinventati o inventati ex novo per una commercializzazione in fondo anche logica e giusta, ma dislocata, nella zona casertana io sono molto legato alle tammurriate connesse alle lamentazioni per la morte di Carnevale (soprattutto nel Marcianisano) e alle varie rappresentazioni di teatro popolare, come la Zeza, la Canzone dei Mesi, la Legge (diffusi un po’ dovunque, in particolare a Castelmorrone e nella zona Arienzana) e il Laccio d’ammore (varie zone del capoluogo). Ognuno di questi esempi meriterebbe descrizioni ed analisi accurate, che ovviamente posso solo rinviare ad altro momento.
Ma se dovessi scegliere di andare a festeggiare il Giovedì o il Martedì Grasso non avrei esitazioni e ritornerei a Montemarano, in provincia di Avellino. Il mio ricordo di quando ci andai la prima volta quasi mezzo secolo fa è ancora vivido: partiamo da Caserta con due o tre macchine, arriviamo in questo paesino sperduto tra le montagne, con la neve ai lati delle strade e un freddo cane. E il deserto. Non c’era anima viva, solo noi a guardarci e a chiederci se non avessimo preso una cappellata da paura. E alcuni già volevamo andarsene. Poi, da lontano comincia un suono, pure difficile da decifrare, ma che sicuramente si sta avvicinando. E di punto in bianco vediamo spuntare il caporabballo (una maschera bianca con un cappello a cono, che per certi versi ricorda Pulcinella) che con un bastone in mano guida un gruppo di musicisti: fisarmoniche, clarini, castagnette e soprattutto tamburi. Intonano la celeberrima Montemaranese, che in quegli anni la Nuova Compagnia di Canto Popolare aveva fatto conoscere a tutti. Una tarantella ipnotica e trascinante. E dietro i musicisti due file di danzatori mascherati. Pochi minuti dopo il paese era invaso da questo caos ordinato, tra suoni e corpi in movimento cadenzato, a svolgere una processione secolarmente religiosa, dove tutta la comunità, senza distinzione tra chi balla e chi guarda, si mescola e si rifonda.
Ed è questa una delle prime caratteristiche evidenziate da Mikhail Bakhtin nel suo lavoro sul carnascialesco: non esiste una differenza tra spettatore e performer nel carnevale, perché il carnevale è mondo vissuto. Un mondo alla rovescia, dove regole, inibizioni e restrizioni che esistono ed insistono nella vita quotidiana, vengono sospese. Le gerarchie sociali vengono trasgredite se non capovolte, i comportamenti eccentrici diventano la norma, il sacrilego è ortodosso e l’inaccettabile è consentito. Questo è il senso carnevalesco del mondo c0n il suo mandato di distruzione della realtà per offrire una concettualizzazione alternativa della stessa.
Naturalmente questo stravolgimento non può che essere ritualizzato, nel tempo e nelle forme. Finito il tempo e ricomposte le forme originarie tutto ritorna ad essere come prima…. semel in anno. È qui viene fuori la natura profonda del carnevalesco, che proprio nella trasgressione di fatto diventa normalizzante e restauratore.
Ma almeno per una volta il peso opprimente del quotidiano viene spazzato via. Non è poco. Perciò citando un canto di carnevale voglio concludere con un augurio:
abballate abballate
femmene vecchie e maritate
e si non ballate buone
nun vi zompo e nun vi sono
e si nun ballate pulite ce lu diche a li vostre ziti
sciù sciù sciù quante femmene ca ci su!
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