Nasce l’archeologia informatica. Il fascino del gusto retrò
(Gabriele Basile*) – Con quanti tipi di software abbiamo a che fare nelle nostre vite? Per lavoro, studio o semplice svago ricorriamo quotidianamente a una notevole mole di programmi: se alcuni vengono utilizzati con maggiore frequenza, altri tendono ad essere progressivamente accantonati, fino a scomparire definitivamente.
Ma cosa accade a questi prodotti? Una volta eliminati anche dai cestini virtuali dei nostri computer, che fine fanno? Nulla. Vanno semplicemente nel limbo del cosiddetto abandonware, ovvero dei programmi abbandonati (dall’inglese abandon + software), persino dai loro sviluppatori, e che rientrano nella più grande categoria delle opere orfane.
Il dizionario online Oxford definisce abandonware come “computer software that is no longer distributed or supported by the developer or copyright holder”, mentre in altri importanti dizionari come il Cambridge e il Longman la voce è assente. Ciò è dovuto al fatto che l’abandonware non desta l’interesse che di una ristretta nicchia di utenti, appassionati della cosiddetta “archeologia informatica”. Uno degli esempi più noti è sicuramente Microsoft Bob, la sfortunata interfaccia alternativa al desktop di Windows 3.1 e Windows 95, ma la categoria di titoli che vanno maggiormente a ingrossare le fila dell’abandonware sono i videogames.
Ed è qui che entra in gioco il retrogaming, termine presente su nessuno dei tre dizionari esaminati precedentemente. Per questo motivo, val la pena considerare la colorita definizione restituita da Urban Dictionary: “When someone says they play video games but not this new age Halo generation crap. I’m talking SNES and earlier. Before the days of Wii, PS2, or the internet, video gaming in a simpler form”.
Cerchiamo di capirne qualcosa in più. Man mano che la tecnologia progredisce, anche i prodotti d’intrattenimento si evolvono, consentendo di raggiungere risultati sempre più sorprendenti dal punto di vista della grafica, del sonoro, della giocabilità. Tuttavia, sono sempre di più coloro che, vuoi per la raffinata bellezza di taluni giochi d’antan, vuoi per semplice nostalgia, ricercano e rigiocano i titoli della loro infanzia o… prima ancora! Ciò è possibile o recuperando il vecchio hardware (spesso pagandolo a peso d’oro), o tramite speciali programmi – detti emulatori – che consentono, appunto, di “emulare” il funzionamento delle vecchie console di una volta. Tra i più usati NESticle per il Nintendo Entertainment System (NES), ZNES per il Super Nintendo e KEGA per le console della SEGA, dal Master System al Mega Drive. È tuttavia possibile percorrere la retta del tempo avanti e indietro a proprio piacimento riuscendo a trovare emulatori in grado di far “girare” tanto i giochi dell’Intellivision o dell’Atari 2600, quanto quelli delle console di ultima generazione come PlayStation 4 o Xbox One, rendendo i nostri PC dei veri e propri cataloghi della storia del software.
Alla luce della recente uscita del primo titolo in realtà aumentata (Pokémon Go) e considerando che questo non è che l’inizio di una fruttuosa contaminazione tra videogiochi e realtà aumentata, viene da chiedersi: ma tra vent’anni vedremo ancora dei retrogamers che si aggirano furtivi per le strade alla disperata ricerca di Pokémon?
*Gabriele Basile – Dottorato di Ricerca in “Eurolinguaggi e Terminologie Specialistiche” – Università di Napoli “Parthenope”
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