Pompei: concerti, nuovi reperti e malumori
(Mario Caldara) – Pompei ultimamente dà l’impressione di essere l’epicentro di tante cose. Si può – senza alcun dubbio e senza rischiare di indignare qualcuno – considerarla come un polo culturale. La città antica è un vero e proprio “cantiere aperto della storia”. Se si abita a Pompei, si rischia seriamente di trovare un nuovo reperto nel giardino di casa, qualora se ne possedesse uno. L’ultima scoperta fatta ha visto riemergere dalla terra una tomba del IV secolo a.C., nella quale è depositato sul dorso uno scheletro adulto con sei vasi a vernice nera. C’è chi afferma che, se si scavasse a fondo anche nel vicolo più anonimo della città, si scoprirebbe un nuovo reperto, una nuova storia. Questo perché – e non è chissà che rivelazione, se ci si ragiona un secondo – gli scavi di Pompei potrebbero anche non essere solamente quelli che i tantissimi turisti visitano, ma anche quelli sui quali i pompeiani dormono la notte.
Se da un lato la storia pompeiana è in costante espansione senza limiti all’orizzonte, dall’altro quella stessa storia ha fatto da cornice a eventi che è giusto definire d’importanza mondiale. Si parla ovviamente dei concerti di David Gilmour ed Elton John, ma anche di quello prossimo di Ludovico Enaudi (23 luglio). L’impatto per i primi due è stato clamoroso (e si ripeterà senz’altro con il terzo), specie per Gilmour, per tutta la storia che c’è dietro il rapporto tra lui (più tutti i membri dei Pink Floyd) e Pompei. Delle due date di Gilmour ne hanno parlato anche importanti giornali stranieri, segno dell’eccezionalità dell’evento, poiché c’è stato quel tipo di magia – a detta soprattutto dei fortunati spettatori – che non può essere ricreata alla stessa maniera in altri ambienti, più belli o meno belli. Ciò ha creato tanto entusiasmo, tanta emozione, ma anche un flebile malumore. Alcuni credono che non sia stato totalmente un bene per il sito archeologico di Pompei accogliere due artisti di questo calibro, che non ci abbia guadagnato niente. Anzi il sito si è snaturato, ha dovuto chiudere alcune zone al pubblico, è stato, nei fatti, limitato. Insomma, Pompei non ha bisogno né di Gilmour, né di Elton John, e di nessun altro. Non ha bisogno di grandi musicisti per farsi bella, è per sua natura una vetrina. I reperti che si trovano ogni anno ne sono una prova. Di Pompei se ne parla e se ne parlerà, i milioni di turisti sono venuti e verranno ancora. Un pensiero, non malvagio, anzi legittimo, che può essere condiviso, in toto o in parte. Si può, però, mettere sul campo anche un’altra corrente di pensiero, che va a porsi nel mezzo, in modo più equilibrato che non scontenti alcuna parte. Pompei non ha bisogno dei grandi artisti. I grandi artisti non hanno bisogno di Pompei. Oppure, al contrario, c’è un bisogno reciproco. Gilmour e John difficilmente potranno suonare in un ambiente come gli scavi. I pompeiani non sempre – anzi è stato qualcosa di più unico che raro – possono dire di aver visto i propri idoli internazionali tra le rovine storiche della città antica. Ma, soprattutto, eventi del genere possono voler dire sollevare sempre più Pompei verso l’Olimpo, sia economicamente sia in termini d’immagine. Non bisogna dimenticare che non sempre di questo sito archeologico si è parlato benissimo. Le lamentele dei turisti sulle condizioni delle rovine sono ancora freschi ricordi e si ritiene che una “risalita d’immagine” sia necessaria. Questa risalita può passare anche attraverso eventi come questi, ponti da attraversare per raggiungere la definitiva consacrazione. Risalterà così lo splendore agli occhi di tutti, soprattutto delle persone scettiche, che purtroppo non sono poche, circa l’autenticità di ciò che viene fatto in Campania, regione identificata con la disonestà.
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