21 giugno, il solstizio d’estate. Ovvero la circolarità del tempo
– Il termine “solstizio” viene dal latino sol (Sole) e sistere (sostare, fermare) ed indica il giorno in cui l’asse terrestre raggiunge il massimo grado di inclinazione rispetto al sole. Oggi, presumibilmente, avremo la giornata più lunga (e la notte più corta). Intorno al 21 dicembre si avrà il suo contrario, vale a dire la giornata più corta (e la notte più lunga). In altre parole, i solstizi dividono l’anno in due parti, e sono una indicazione molto forte di come la vita stessa sia strutturata ritmicamente, in sincronia con i ritmi naturali. Riprenderò questo discorso tra poco. Prima è mia intenzione parlare di ritualità connesse al solstizio.
Ci sono testimonianze che fin dal Neolitico le prime forme organizzative umane segnalassero con riti e feste l’andamento delle stagioni. Ad esempio, una delle interpretazioni di Stonehenge, nel Wiltshire, è che il complesso monumentale servisse a segnalare il solstizio d’estate, attraverso un sistema di collimazione, per scopi astronomici. Ed è altamente probabile che proprio per questo fosse il luogo di incontro rituale delle tribù inglesi. Stonehenge non è unico nel suo genere: molti altri siti hanno la stessa funzione, ad esempio Castlerigg, in Cumbria, o Gors Fawr, nel Galles del Sud.
Decisamente ricco è il panorama delle feste folkloriche connesse al solstizio. Litha (termine usato nel mondo celtico e ripreso dal movimento Wiccan e Neopagano) è celebrata con l’accensione di falò, purificatori e simboli del contatto tra natura e sovrannaturale. Molto spesso delle ruote infuocate venivano fatte precipitare a valle per finire a spegnersi in uno specchio d’acqua. In Irlanda era d’uso portare una pietra in mano, girando intorno al fuoco, per esprimere un desiderio. In molti altri luoghi è tradizione saltare attraverso il falò, per buona fortuna. E le ceneri del falò possono essere portate addosso, in un sacchetto, come amuleto. In abito cristiano, e in una ottica sincretica, molti rituali folklorici legati al solstizio vengono concentrati durante la notte di San Giovanni.
Quello che voglio ribadire qui e adesso è la differente concezione del tempo che caratterizza società folkloriche o comunque connesse all’agricoltura e società a diversa struttura economica. Mentre per le prime (ad esempio, le società greca e romana) il tempo è ciclico, presupponendo un ritorno e quindi una eternità, per le seconde il tempo (ad esempio la società ebrea) è lineare e collegato alla consapevolezza storica. Non a caso Agostino parla del tempo non come un tracciato diritto, ma come un viaggio per raggiungere una meta: dalle Genesi al Giudizio. Il solstizio d’estate (Litha) è uno di questi momenti di divisione. Al lato opposto si avrà il solstizio d’inverno (Yule), con opposti significati e simboli. Ma altri riti segnalano la ciclicità: gli equinozi, Ostara (primavera) e Mabon (autunno), che si trovano a metà strada dai solstizi. E poi Imbolc (che coincide con la festa cristiana della Candelora, e segnala il ritorno alla luce) e al suo opposto Lunasa (che celebra il raccolto estivo), Beltane (Calendimaggio) e Shamain (che coincide con la celebrazione dei defunti e Halloween). Sono le stagioni, che come i giorni, le notti, i mesi e gli anni, secondo Platone sono forme del tempo che imitano l’eternità.
* Antropologo culturale, Lecturer alla Boston University
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