Un romanzo al bacio, il jazz nel nuovo libro di Tony Laudadio
– Pur non essendo un polar, si deve per forza arrivare alla fine e nel più breve tempo possibile, non è di quei romanzi che tu lasci giacere lì sul comodino, che, magari, hai anche iniziato ma che non apri quando sei stanco … no, non è così, perché l’ultimo di Tony Laudadio è il romanzo che narra, come in una pièce teatrale, la storia della seconda possibilità, ma non solo.
Sin dal titolo evocativo del capolavoro di Duke Ellington, “Preludio a un bacio” (NNE, 2018, Milano, 217 pp), il romanzo si preannuncia per il lettore come un viaggio nel mondo della musica jazz guidato da un io narrante musicista e amante della letteratura (“Prelude to a kiss” è l’unica canzone che fa da colonna sonora a ben due capitoli – la prima volta nella versione appunto interpretata da Duke Ellington, la seconda da Billy Holiday, n.d.r.): Emanuele, colto musicista di strada, alcolizzato e senza fissa dimora, racconta, infatti, la sua vita, senza risparmiare particolari, rinunciando all’artificio della parola e optando per l’assertività: ha cinquant’anni, vive nello scantinato di un palazzo, apparentemente non ha relazioni interpersonali se non con Maria, una bella ragazza che lavora in un bar. Il mondo di quest’uomo è un mosaico complicato che, in un gioco di rimandi di memoria proustiana, il lettore è chiamato a ricomporre … con un finale inatteso.
Ma il romanzo di Laudadio è anche molto altro, perché, ed è l’incipit che lo chiarisce, “la parola è la sorella stronza della musica” (p. 7).
In un gioco di intertestualità che sfora nell’“intermusicalità” questo romanzo rivela, infatti, nelle intercapedini dell’implicito, un autore che gioca con un lettore attento e che conosce i suoi romanzi precedenti (“Esco”, “Come un chiodo nel muro”, “L’uomo che non riusciva a morire”), tessendo una lucida teorizzazione sulla natura del romanzo contemporaneo, sulla sua ‘Epifania’. E Laudadio lo fa dalla sua posizione di artista poliedrico ben argomentando, anche se “entre les lignes”, sul valore e sull’uso che della parola deve fare il romanziere e sulla polarità tra letteratura e musica che tanto era cara a Jean Cocteau e al Gruppo dei Sei.
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