16 dicembre 1631, San Gennaro ferma l’eruzione del Vesuvio
– Il 16 dicembre ricorre la terza supplica annuale a San Gennaro, patrono di Napoli e della Campania, nella speranza che possa avverarsi il cosiddetto “miracolo laico”, cioè la manifestazione di un’ulteriore liquefazione del suo prezioso sangue. Trattasi di un rituale molto importante, la cui origine risale al XVII secolo, quando i partenopei richiesero la sua intercessione per evitare una tremenda catastrofe scatenata dal Vesuvio.
Secondo la tradizione, a seguito di una serie di eventi vulcanici e di movimenti sismici, che da diverso tempo stavano interessando l’intera area campana, il 16 dicembre del 1631 scoppiò l’eruzione. Una bocca laterale, rivolta verso sud-est, si aprì dal vulcano stesso, da cui cominciarono ad uscir fuori ceneri frammiste all’acqua che si spinsero fino a valle a una velocità inaudita. Dopo poco iniziò a scendere, in maniera accelerata, la lava come se fosse stata un’enorme lingua di fuoco. Seguì, infine, l’esplosione dal cratere centrale con il lancio di diversi materiali piroclastici.
Nell’immediato, distruzioni e morti vennero seminati nelle città più prossime al Vesuvio, soprattutto nei paesi di Portici, Ercolano e Torre del Greco. In molti riuscirono a scappare dai propri Comuni, nel tentativo di trovare rifugio a Napoli, anche se in tanti perirono, lungo la strada, venendo sopraffatti da valanghe di fango dovute ai violenti scrosci di pioggia causati dall’eruzione stessa.
Al fine di scongiurare l’arrivo del magma a Napoli, i cittadini improvvisarono cortei, canti e preghiere rivolte al cielo per essere risparmiati dall’immane tragedia. Fu a quel punto che l’allora arcivescovo Francesco Buoncompagno decise di portare in processione le reliquie di San Gennaro, il sangue e la testa, le quali vennero condotte fino all’attuale ponte della Maddalena, dove, dopo qualche giorno, si arrestò definitivamente tutta la foga piroclastica. Nonostante lo scampato pericolo per la capitale, vennero comunque rilevati numerosi danni, guasti che andarono a sommarsi a quelli che avevano già riguardato l’intera zona vesuviana. Tale situazione spinse molti cittadini del comprensorio napoletano a trasferirsi altrove. C’è chi riparò a Salerno o a Castellammare, altri invece si diressero verso Pozzuoli o addirittura raggiunsero Gaeta. Molte persone, invece, trovarono rifugio in città come Aversa, Caserta, Teano e Capua. Fu a seguito di questa trasmigrazione di massa che il culto januario cominciò ad avere larga fortuna anche in Terra di Lavoro. Al riguardo, vi sono ancora tangibili testimonianze presenti nella cittadina casertana, come la seicentesca Chiesa di San Gennaro nella frazione di Falciano, e a Capua, nel Museo Diocesano, dove si conserva uno straordinario busto reliquiario recentemente restaurato.
Luigi Fusco – Docente di italiano e storia presso gli Istituti Superiori di Secondo Grado, già storico e critico d’arte e guida turistica regione Campania. Giornalista pubblicista e autore di diversi volumi, saggi ed articoli dedicati ai beni culturali, alla storia del territorio campano e alle arti contemporanee. Affascinato dal bello e dal singolare estetico, poiché è dal particolare che si comprende la grandezza di un’opera d’arte.
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