#25novembre La violenza sulle donne è anche psicologica
Giuseppe Iaculo *(psicologo, psicoterapeuta, scrittore)
– Si parla di violenza sulle donne, tendiamo immediatamente a pensare a percosse e ad aggressioni fisiche. La violenza, in realtà, può assumere diverse altre forme: può essere economica, culturale, razziale, psicologica. Tutti questi tipi di violenza sono tra loro interrelati, ma non necessariamente coesistenti.
In particolare, non esiste violenza fisica che non sia preceduta e accompagnata da forme di violenza psicologica. Quest’ultima viene sottovalutata, in quanto più subdola e, perciò, più difficilmente identificabile della prima. Talvolta le vittime stesse tendono a non riconoscerla, o a minimizzarne la portata, e giustificarla. Riconoscerne i segni è invece fondamentale, non solo perché essi sono precursori della violenza fisica, ma in quanto di per sé causa di estrema sofferenza in chi li subisce.
Nell’ambito della violenza psicologica possiamo includere una serie di atteggiamenti, che si rafforzano nel tempo, volti a denigrare l’altra persona e il suo modo di essere. Rientrano in questa definizione tutte quelle esternazioni verbali e quei gesti che hanno lo scopo di rendere la partner insicura, così da poterla controllare e sottomettere.
Spesso tutto inizia con un controllo sistematico della vita della compagna, si passa poi alla gelosia e alle molestie assillanti, fino ad arrivare alle umiliazioni e alla “squalifica dell’essere”. La donna diventa un oggetto da possedere in maniera esclusiva, non viene riconosciuta in quanto persona “altra da sé”.
Nell’ambito della violenza domestica, il controllo sulla donna è mantenuto di frequente grazie anche al suo progressivo isolamento: le viene impedito di lavorare (o di accedere alle finanze personali/comuni), di avere una vita sociale, di vedere gli amici, di mantenere rapporti con quest’ultimi e con la sua famiglia di origine, allo scopo di renderla completamente dipendente dal compagno. Le motivazioni addotte possono essere veicolate da manipolazioni e ricatti affettivi (“Non ti accorgi che quell’amico ti fa del male? – Lo faccio per il tuo bene. – Ma allora non ti fidi di me? – Non è sufficiente il mio amore?”), che confondono e illudono la compagna di vita e ne minano progressivamente l’autonomia. Una mia paziente di 35 anni ha vissuto una progressiva spoliazione delle sue abitudini, dei suoi rapporti, compresi quelli con i suoi familiari, è stata indotta a rinunciare a lavoro e interessi, a interfacciarsi solo con i familiari del marito, subendo un doppio processo di squalifica e controllo, che , in questo caso, ha fatto leva sulla minaccia e sull’incubo di vedersi sottrarre il figlio, per una presunta e inesistente inadeguatezza nello svolgere il ruolo di madre.
Un’altra strategia alla base della violenza psicologica è costituita dalle critiche avvilenti volte a minare l’autostima della persona, a mostrarle che è priva di valore. La donna può essere denigrata per quello che fa, può essere accusata di pazzia, criticata rispetto al suo aspetto fisico o alle sue capacità intellettuali. Umiliare, svilire, ridicolizzare, costituiscono atti peculiari della violenza psicologica. Talvolta, quando le critiche e le squalifiche includono un contenuto sessuale, generano un senso di umiliazione e vergogna, che diviene un ulteriore ostacolo al cercare un aiuto esterno.
La violenza psicologica può tradursi anche in atti intimidatori, quali sbattere porte, lanciare o rompere oggetti, maltrattare animali domestici, ecc. Tali comportamenti vogliono intimorire la donna e farla sentire sotto la minaccia della capacità dell’uomo di fare del male: a lei, ad altri significativi, ma anche e a se stesso. La minaccia di suicidio costituisce in tal senso un ricatto affettivo e una violenza di estrema gravità, perché induce la donna a sentirsi responsabile delle azioni del compagno e a dover restare immobile per timore delle conseguenze di qualsiasi sua scelta.
Se alcuni di questi comportamenti, presi singolarmente, possono rientrare nella routine di accesi litigi di coppia, è il carattere ripetitivo e costante di queste situazioni a configurarli come una forma di violenza psicologica. La violenza, inoltre, si differenzia dalla conflittualità per l’asimmetria dello schema relazionale. Non a caso l’incastro relazionale di coppia più ricorrente vede coinvolti un uomo affetto da narcisismo patologico e una donna con personalità dipendente.
La sistematica denigrazione ed i continui insulti alla persona, minano l’autostima della donna, e più in generale il senso di identità. Sentendosi continuamente disprezzata, ella stessa potrebbe iniziare a disprezzarsi e a sentirsi non degna di essere amata e rispettata, specie se si porta già dentro delle fragilità più antiche e un senso di indegnità di cui non ha preso consapevolezza in precedenza. La ripetitività e il carattere umiliante di tali situazioni possono provocare un vero e proprio processo distruttivo a livello psicologico, per la persona che le subisce, e può condurre allo sviluppo di sintomi psicosomatici, depressione, attacchi di panico, o spingere a atti estremi di autolesionismo.
Mentre gli effetti della violenza fisica sono immediatamente visibili e facilmente diagnosticabili (anche se essi stessi a volte assurdamente sottovalutati), è molto più arduo identificare in maniera inequivocabile quelli provocati da una violenza di tipo psicologico, dal momento che i suoi confini sono più soggettivi: una medesima azione può assumere significati diversi a seconda del contesto culturale, sociale, psicologico in cui si inserisce ed a seconda della persona che la valuta. Questi atteggiamenti possono essere oggetto, anche in sede di contenziosi legali, di diverse mistificazioni. Come psicoterapeuta, in genere, mi baso sullo strumento dell’empatia: sul peso e la forza che i sentimenti feriti delle donne, condivisi in terapia, hanno di potere toccare e accendere in maniera inequivocabile i miei sentimenti.
Credo sia infine importante sottolineare che la problematica della violenza, in tutte le sue forme, non può essere confinata ad una dimensione individuale o di coppia, ma necessita di essere rinviata ad un sistema più ampio, allo sfondo delle relazioni sociali. L’obiettivo deve essere ancora quello di un cambiamento culturale, che favorisca una ulteriore e continua evoluzione delle relazioni di genere, fondate sul riconoscimento della persona e sul rispetto reciproco. Le donne hanno lavorato in questa direzione, e con loro gli uomini che hanno guardato alle ferite e fragilità personali, ma c’è ancora tanta strada da percorrere insieme.
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