A Natale è d’obbligo il capitone, mangiarlo fa scacciare il male
– Il tradizionale cenone della vigilia di Natale è un vero e proprio rituale e ogni sua portata ha una storia e un significato ben precisi, le cui radici sono antichissime. Oltre ciò, qualsiasi prelibatezza presentata a tavola ha una forte valenza simbolica, la cui natura tende a essere augurale e ad avere una funzione apotropaica. Tre sono gli aspetti fondamentali che definiscono la chiave di lettura del convivio serale del 24 dicembre: l’attesa, il tempo e la luce. Durante la vigilia ogni cosa si ferma, assume una connotazione infera; lo spazio della cena e delle persone che la condividono viene cristallizzato in un’apposita dimensione temporale, poiché lo scambio del cibo diventa una sorta di rito di passaggio e ogni cosa deve essere purificata per esser assurta a nuova luce. Pertanto, la scelta delle pietanze deve essere oculata, in quanto alcune di esse potrebbero esser state contaminate da entità maligne.
Al riguardo, sin dall’età pre-cristiana, era credenza comune che la carne fosse, appunto, veicolo di contagio del male e già nel corso delle celebrazioni in onore del Sol Invictus si era soliti consumare del pesce. Proveniente dall’acqua, ritenuta simbolo sia di vita che di morte, la fauna ittica veniva considerata pura per le sue carni bianche; la sua consumazione era legata ai momenti di austerità. Con il passar dei secoli, inoltre, la preparazione del pesce è divenuta sempre più articolata, grazie all’impiego di speciali metodi di cottura o di singolari combinazioni di ingredienti, divenendo, infine, una pietanza ricca e oltremodo gustosa.
In ambito campano, al pesce, a partire dalle epoche più remote, è stato spesso riservato il posto d’onore in seno alle vivande previste nelle diete alimentari delle festività. Le connotazioni cultuali di quest’ultimo aspetto sono da individuare nella cultura eno-gastronomica di età greco-romana.
Tutto il cenone della vigilia è incentrato sul consumo del pesce: dai frutti di mare al baccalà; fra tutte le portate attese vi è quella del capitone. Appartenente al genere dei pesci ossei e alla famiglia anguilliade, è in realtà la femmina dell’anguilla; più lungo e più grosso nelle dimensioni, il capitone è un essere ambivalente, che racchiude in sé entrambi i generi sessuali; il suo nome è difatti un sostantivo maschile che indica un animale femminile. In una società, come quella campana, di derivazione ctonia, i rimandi e le allusioni a questa doppia natura sono tuttora più che frequenti.
Nella notte di Natale il capitone diventa una sorta di metafora del tempo e viene fatto a pezzi per esser ingerito e poi rigenerato; le sue fattezze, infine, ricordano quelle del serpente che tentò Eva e mangiarlo significa scacciare il male, ma anche dar vita a un gesto di buon auspicio per il prosieguo delle festività e per l’anno nuovo che verrà.
Luigi Fusco – Docente di italiano e storia presso gli Istituti Superiori di Secondo Grado, già storico e critico d’arte e guida turistica regione Campania. Giornalista pubblicista e autore di diversi volumi, saggi ed articoli dedicati ai beni culturali, alla storia del territorio campano e alle arti contemporanee. Affascinato dal bello e dal singolare estetico, poiché è dal particolare che si comprende la grandezza di un’opera d’arte.
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