Capri, Hollywood. “Mirea”, docufilm sui detenuti a Nisida
Le storie dei detenuti del carcere di Nisida proiettate al “Capri, Hollywood” nel film “Mirea”, per la regia di Salvatore Sannino e Mario Vezza, coprodotto da Antonio Acampora e Armando Ciotola del centro di produzione CinemaFiction Napoli, dal Teatro di Sotto e dall’associazione MetaMorfosi.Il film racconta la storia di Mirea, una ragazza di 16 anni che vive a Napoli, con sua madre Nunzia, in un basso del quartiere Petraio. Mirea è una pedina del sistema, sostiene lei la sua famiglia vendendo tutte le notti la cocaina che nasconde ordinatamente sotto i battiscopa di casa sua. Durante un blitz notturno Mirea e sua madre vengono arrestate, la ragazza viene portata all’istituto penale minorile di Nisida e Nunzia al carcere femminile di Pozzuoli. A Nisida Mirea divide la cella con Giulia, ragazza calabrese di una bellezza invadente e aggressiva. Giulia si prende gioco di Mirea e la usa in tutti i modi per i propri interessi e obiettivi. Il comportamento di Giulia e la vita carceraria influiscono sullo stato d’animo di Mirea, alimentando tensioni all’interno dell’Istituto e conflittualità tra le due ragazze. Mirea avverte il desiderio di un cambio di passo, di fare scelte importanti per il futuro, guardando “fuori”, cercando stimoli dalla realtà esterna e dalle bellezze che circondano il carcere. Scrive una lettera a sua madre, sperando di avere da lei quel sostegno e quella guida che in passato le è venuta sempre a mancare. Con il tempo, la solitudine costringe la ragazza a chiedere altro da se stessa e a farlo uscire fuori. Rischiando in prima persona.Il film, attraverso il racconto corale e diretto della condizione dei detenuti realmente ospiti a Nisida, fatto in prima persona dai ragazzi stessi e dalle figure che rappresentano l’Istituto, va a indagare sui sentimenti e i desideri di questi ragazzi, sulle loro passioni e la loro umanità, valorizzando gli elementi positivi che caratterizzano le loro vite e che la realtà circostante di Nisida vuole far loro risaltare. C’è la voglia di andare oltre le stereotipie che caratterizzano il comune sentire della gente sulla loro condizione di detenuti.Fonte Comunicato stampa
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