Capua. Palazzo Fazio, in scena la danza con The L(o)ast Jew

Capua. Palazzo Fazio, in scena la danza con The L(o)ast Jew

Redazione

-Nuovo appuntamento nell’ambito della rassegna Faziopentheater a Capua. In scena domenica 19 marzo c’è The L(o)ast Jew proposto dall’Associazione “Campania Danza” di Salerno (direzione artistica di Antonella Iannone). L’appuntamento è per le ore 19.

Note: Io sono l’ultimo ebreo è il sottotitolo del libro di Chil Rajchman, uno dei 57 ebrei del Sonderkommando sopravvissuto alla fuga dal lager di Treblinka. Rajchman scrive il libro subito dopo la fine della guerra, nel 1945, ma il testo è rimasto inedito fino al 2009. La parola L(o)ast posta all’interno del titolo dello spettacolo di teatro danza, non ha apparentemente alcun significato, ma è il risultato dell’accostamento della parola Last, che significa ultimo (per riprendere la testimonianza di Raichman), e la parola Lost che significa letteralmente perso, smarrito, disperso, e si riferisce sia alla condizione psicologica degli ebrei che hanno vissuto l’esperienza dell’Olocausto, sia al progetto nazifascista di dispersione e annientamento della religione e della cultura ebraica. The L(o)ast Jew, nasce da un approfondito lavoro di ricerca e si traduce in coreografia: una modalità, questa, diversa e inedita per ritornare a riflettere sulla storia del Sonderkommando, la squadra speciale di detenuti, per lo più ebrei, destinati a compiere il loro lavoro nei crematori e nelle camere a gas nei campi di sterminio. La loro storia rappresenta l’inferno in terra, la loro parola sembra essere la testimonianza più vera, la versione più integrale della verità. Si tratta di un racconto corporeo immateriale, in cui la parola “io” scompare nell’incessante flusso di movimenti, è un resoconto di testimonianze difficili, in cui l’acume e la crudezza delle parole scritte da alcuni membri dei Sonderkommando prendono le sembianze delle descrizioni fornite dagli ebrei scomparsi, annientati, annullati, tanto da considerarsi ultimi, persi, dimenticati. Oltre ai cinque danzatori protagonisti del racconto, saranno presenti in scena cumuli di foglie secche, cadute e raccolte che richiamano l’opera intitolata Shalechet (Foglie cadute) dell’artista israeliano Menashe Kadishman, realizzata nel 1997 in uno dei Memory Void del museo ebraico di Berlino, un ambiente lungo, stretto e poco illuminato. Ripercorrere le controverse vicende delle squadre speciali è un compito arduo, “ridare” corpo, voce e identità a quelle particolari vittime del nazismo è un atto doloroso, ma necessario. Caino uccise Abele, è vero, ma l’ebreo del Sonderkommando che uccide un altro ebreo, è anch’egli una
vittima inerme del nazismo. Il comportamento di questi uomini non può essere valutato in base a nessuno dei criteri morali validi per la società civile, su di loro, “i corvi neri del crematorio”, Primo Levi
scriverà che il giudizio è sospeso. Eppure per loro, per la loro testimonianza bisogna ancora spendersi,
non solo perché non accada più, ma anche perché “nel cuore dell’Europa civilizzata un profondo abisso
si era aperto” e loro, gli ebrei del Sonderkommando vi si trovavano sospesi, attanagliati tra la voglia di
morire e il desiderio di vivere, almeno per poter raccontare al mondo quel “crimine orrendo” di cui sono
stati, in un modo controverso, vittime fino alla fine.

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