Capua. Restaurata l’antica e preziosa teca di Santa Placida
-Torna a risplendere l’antica teca di Santa Placida a Capua. Quello di Placida è tra i reliquiari più preziosi conservati nella Cappella delle Reliquie della Cattedrale capuana. Dopo esser stata custodita per decenni dalle locali Suore del Buone Pastore, l’arca è stata oggetto di notevoli restauri, voluti dall’arcivescovo di Capua Monsignor Salvatore Visco, che hanno consentito il recupero dell’intera struttura così come della pregiata veste indossata dalla santa. Nel contempo, il volto del suo scheletro è stato anche dotato di una maschera in cera. Il culto di Santa Placida è molto sentito a Capua e la sua devozione si intreccia con la storia del monastero carmelitano di San Gabriello: dalla sua istituzione alle frequentazioni di Carlo di Borbone e di sua moglie Maria Amalia di Sassonia.
Le vicende di questo complesso conventuale, la cui struttura si trova nei pressi dell’Arco di Palazzo Antignano oggi sede del Museo Provinciale Campano, risalgono al 1738, quando suor Maria Angela Marrapese, terziaria carmelitana, fondò insieme ad altre consorelle, in una proprietà appartenuta alla madre, un nuovo monastero femminile intitolandolo all’Arcangelo Gabriele. Poco dopo aver gettato le fondamento arrivarono pure i primi ed ufficiali riconoscimenti ecclesiali. Nel 1749, difatti, Papa Clemente
XIII gli concesse il beneplacito. Nel 1761 vennero invece sancite Le Regole e le Costituzioni delle Carmelitane
del Reale Monistero di San Gabriello Arcangelo della Città di Capua e, contestualmente, suor Marrapese
entrò tra le grazie di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, tanto da definirsi “sua penitente”.
I tempi però per le carmelitane capuane non sembravano essere dei migliori. Come per molti altri ordini
religiosi aleggiava su di loro lo spettro della riforma fiscale, di natura giurisdizionalista, avviata da Carlo di
Borbone e pertanto c’era il pericolo che il monastero venisse soppresso. La stessa suor Maria Angela
Marrapese non era vista di buon grado da alcune “alte sfere” della corte borbonica così come della curia
vescovile napoletana, tanto da esser definita “monaca politicante”. Le sue preoccupazioni furono intanto
rimesse a Sant’Alfonso, il quale le consigliò di scrivere in “maniera aperta” alla regina Maria Amalia e di
farle presente le sue tribolazioni. Tra la sovrana e la carmelitana nacque un rapporto fatto di stima,
confidenza e di fede.
Tra il 1753 ed il 1759, i coniugi reali trascorrevano buona parte del loro tempo a Capua. Maria Amalia si svestiva dei suoi abiti preziosi per indossare quello di suora quando si trovava al cospetto della Marrapese, da lei stessa considerata una santa. Grazie all’intervento dei Borbone, nel 1756 vennero conclusi i lavori del convento e venne innalzato il campanile su progetto dell’architetto Luigi Vanvitelli.
Il 4 di aprile del 1758, Maria Amalia fece giungere al monastero di San Gabriello le spoglie di Santa Placida contenuta in una ricca urna dorata. Dalla clementissima sovrana di questo Regno – così riporta la fonte più antica relativa all’atto di donazione – ricevemmo in dono l’intero corpo di una santa martire, ricavato dal Cimitero, che dicesi della Beata Ciriaca nel Campo Verano sulla via di Tivoli, dette ossa ravvisate furono esser state di donna giovine: ne potutasi rintracciare verun altra particolarità di Tempo e di qualità di Martirio, l’appellazione a quel corpo fu imposta di Santa Placida martire.
I prodigi della santa non si fecero attendere. Miracolato fu infatti un abitante di San Nicola la Strada, Angelo Pascariello, che affetto da “semiparalisi universale accompagnata con tremore di tutte le membra” decise di appellarsi a Santa Placida. A seguito della sua visita migliorarono le condizioni di salute, tanto che lo stesso Pascariello, insieme alla moglie Antonia Ciavattone, decise di farne atto pubblico presentandosi davanti al notaio Francesco Della Peruta, cui dichiarò che non sussistevano più le precedenti condizioni di infermità in quanto la grazia era avvenuta per volere di Dio e per intercessione della “Sua Serva Santa Placida”.
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