Carlo Cecchi in scena con “Il lavoro di vivere”
(Redazione) – Martedì 24 gennaio alle ore 20,45 al Teatro Comunale Costantino Parravano di Caserta, Teatro Franco Parenti presenta Il lavoro di vivere di Hanoch Levin traduzione dall’ebraico e adattamento Claudia Della Seta e Andrée Ruth Shammah uno spettacolo di Andrée Ruth Shammah ripreso da Carlo Cecchi. In scena Carlo Cecchi, Fulvia Carotenuto e Massimo Loreto con la collaborazione per l’allestimento scenico di Gianmaurizio Fercioni, per le luci di Gigi Saccomandi, per i costumi di Simona Dondoni, musiche di Michele Tadini.
Andrée Shammah, con la complicità di Carlo Cecchi, uno degli ultimi grandi maestri del teatro italiano, qui protagonista insieme a Fulvia Carotenuto e Massimo Loreto, confeziona con la consueta eleganza e raffinatezza, la regia de Il lavoro di vivere di Hanoch Levin, il più importante autore e drammaturgo israeliano. Il teatro di Levin è irriverente: la poesia si nasconde dentro le situazioni più imbarazzanti, i suoi testi sono una commistione di spiritualità nobile e cruda realtà; dalla critica alla cultura borghese ai contrasti tra carne e spirito, “arte e culo”, perché il meschino sogna di stare sotto il riflesso della luce della felicità altrui.
Così avviene anche per Il lavoro di vivere, una storia d’amore fra due persone di mezza età, in cui l’amore appare a barlumi folgoranti, in mezzo a un mare di insulti, parole durissime e rimpianti. Lo spettatore ride di gusto, senza accorgersi che sta ridendo di se stesso.
Prematuramente scomparso nel 1999 a cinquantasei anni, l’israeliano Hanoch Levin è un autore molto rappresentato in Europa, meno in Italia. Il lavoro di vivere è uno dei suoi testi migliori: conflittuale, spietato, tra i più incisivi della sua copiosa produzione, commedia crudele e beffarda, dal ritmo secco e sincopato.
Carlo Cecchi e Fulvia Carotenuto sono i due battaglieri protagonisti: incapaci di amare ancora, si sentono scaduti. Una notte l’uomo si alza inquieto, si interroga su chi gli dorma al fianco, fantastica su improbabili fughe con altre donne, poi infierisce sulla moglie, vomita rancori repressi, la butta a terra. Dal nulla spunta un visitatore, un amico: vuole un’aspirina, forse vuole solo parlare, ma è investito dal rancore dei due.
Se ne va, non prima di aver dimostrato che è la paura della solitudine ad averli inchiodati per trent’anni l’uno all’altra, abbandonandoli alla loro amarezza, in una stanza da letto che è quasi un ring.
Con punte di umorismo spietato, Il lavoro di vivere, è un testo solo apparentemente lineare, ricco di riferimenti interni, dal più scontato Pinter a Ionesco, Bernhard, Brecht: dalla miseria esistenziale però scaturisce la commedia, in bilico tra sarcasmo e disperata ironia. Il teatro di Levin non ha più spazio per gli eroi, ma per i perdenti con un vena poetica che li rende indimenticabili.
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