Carlo di Borbone, il grande re che si portò Napoli nel cuore
(Mario Caldara) – Se si parla di Carlo di Borbone, si parla inevitabilmente di un pezzo di storia napoletana importantissimo, se non fondamentale. Quell’epoca ha rappresentato un ponte tra la Napoli del passato e quella progredita, migliorata, quel regno che poi effettivamente diventò. Un ponte che portava proprio la firma di Carlo di Borbone, personalità enorme, un uomo che, per visione del mondo, era molto più avanti del suo tempo. A Napoli, Carlo III è simbolo di diverse qualità, tra le quali la lungimiranza, l’intraprendenza, sensibilità verso l’arte, verso la storia.
Non è un segreto che egli fu una delle figure che più si interessarono, se non il più interessato in assoluto, alle ricerche archeologiche che fecero riemergere nel primo settecento le antiche città romane di Ercolano, Pompei e Stabia. Informato quotidianamente delle nuove scoperte, visitava spesso i luoghi di ricerche, curioso di poter ammirare i reperti e di essere testimone in prima persona del mondo antico che stava rivedendo la luce dopo un’eternità. Tuttavia, non si limitò semplicemente a osservare da spettatore. Si fece, infatti, promotore di conoscenza, impiegando le sue forza affinché quel nuovo mondo riemerso si diffondesse tra la gente, palesando il suo amore per l’antichità attraverso quella propaganda promossa con mezzi all’avanguardia. Tutto questo fa capire che nominare Carlo di Borbone non può lasciare indifferenti, né egli, a distanza di secoli, può passare inosservato in quel di Napoli.
Ne consegue che quest’anno, in occasione del trecentesimo anniversario della sua nascita, la città e, in particolare, il Museo Archeologico di Napoli non potevano non organizzare qualcosa di speciale, dedicandogli la mostra “Carlo di Borbone e la diffusione delle Antichità”. Inaugurata il 14 dicembre, la mostra rimarrà al Mann fino al 16 marzo dell’anno prossimo e darà modo alla gente di scoprire la figura del sovrano attraverso il ruolo, che egli occupò, di divulgatore delle scoperte della nascente archeologia attraverso i volumi – di cui il primo uscì nel 1757 – realizzati dalla Stamperia Reale da lui stesso fondata. Una selezione delle duecento preziose matrici della Stamperia Reale (il museo custodisce ben cinquemila rami), restaurate, costituisce il nucleo dell’inedito percorso: sessanta opere tra dipinti, disegni, sculture, affreschi, documenti. La mostra è collegata alle esposizioni “gemelle” di Madrid e di Città del Messico, dove sono custoditi gessi e disegni di quelle meraviglie che il Re volle divulgare per trasmettere al mondo la classicità senza privare la città degli originali. L’amore per Napoli, l’amore per questa terra, che Carlo di Borbone provava ardentemente, è il cuore della mostra ed è probabilmente il miglior esempio che potesse capitar di ammirare. E il Mann, così come diversi musei e luoghi di cultura, arricchendo la propria offerta, sembra seguire la linea tracciata dal sovrano. Dopo la riapertura della Sezione Egizia, il museo si appresta a raggiungere a fine 2016 il traguardo di cinquecentomila visitatori, con un più 30% di ingressi, segno della diffusione culturale, una sorta di trasmissione della storia, soprattutto quella di Napoli, di cui il re sarebbe andato fiero.
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