C’è un eroe di marmo nella Reggia di Caserta, è l’Ercole latino
– Gloria Virtutem post Fortia Facta Coronat. È il testo in latino inciso sul basamento dell’imponente Ercole latino, scultura collocata nella nicchia centrale del vestibolo inferiore della Reggia di Caserta.
Trattasi di una straordinaria opera marmorea, datata verso la fine dell’età adrianea, che, in origine, si trovava presso le Terme di Caracalla a Roma. Insieme all’Ercole Farnese, oggi conservato presso il Museo Nazionale Archeologico di Napoli, venne rinvenuta tra il 1545-46, durante gli scavi promossi da Papa Paolo III Farnese. Entrambe le monumentali raffigurazioni eraclee vennero, poi, sistemate nel cortile del romano Palazzo Farnese, in Campo dei Fiori, oggi sede dell’Ambasciata di Francia.
I Farnese, come tante altre nobili famiglie dell’età rinascimentale, nel pieno dell’affermazione del proprio potere sia politico che religioso, vollero dare un peso molto forte alle origini del proprio casato facendolo risalire alla figura di Ercole. Da questo mitico personaggio ne trassero gli aspetti più introspettivi, intimi e riflessivi, la cui natura filosofica si sposava appieno con il pensiero e la poetica di Fulvio Orsini, bibliotecario di casa Farnese. Al riguardo, l’impianto iconografico dell’Ercole casertano riprende il tipo dell’eroe in riposo, in meditazione, dopo aver compiuto l’undicesima fatica: la conquista dei pomi delle Esperidi, la cui impresa gli era stata suggerita dal cugino Euristeo.
L’eroe è raffigurato mentre è poggiato sulla propria clava, impiantata sulla testa del Toro di Creta e avvolta dalla leontè. Il capo e lo sguardo sono rispettivamente reclinati e rivolti verso il basso, mentre nella mano destra, nascosta dietro la schiena, sono celati i pomi d’oro.
La sua presenza a Caserta è significativa dei rapporti di parentela che erano stati stretti, a metà Settecento, fra i Borbone e i Farnese; difatti, Carlo, il patriarca della dinastia napoletana a partire dal 1734, era figlio di Filippo V di Spagna ed Elisabetta Farnese. Sin dal primo momento del suo insediamento sul trono partenopeo, il primo sovrano borbonico tese, in tutti i sensi, ad esaltare le glorie e le virtù della famiglia materna, in quanto era stata quest’ultima a garantirgli, attraverso un’intensa attività diplomatica condotta a livello internazionale, l’ascesa nel Regno di Napoli. Pertanto, i Borbone tutti si sentirono illustri discendenti dei Farnese e di conseguenza anche dei loro mitici avi, a cominciare da quell’Ercole le cui fatiche vennero poi ben ripagate con la costruzione della sontuosa Reggia vanvitelliana.
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