Due secoli dal 5 maggio, segni e api di Napoleone nella Reggia
– Ei fu. Siccome immobile, dato il mortal sospiro, stette la spoglia immemore orba di tanto spiro, così percossa, attònita la terra al nunzio sta… Quante volte, sin dalle elementari, sono stati ripetuti i versi della famosa ode manzoniana del 5 maggio dedicata alla morte di Napoleone Bonaparte, esule presso l’isola di Sant’Elena. Era il 5 maggio 1821, esattamente duecento anni fa.
Con la sua fine si chiudeva un’epoca, il cui inizio risaliva al tempo della rivoluzione francese. Dal 1789 fino al 1815, le sorti dell’Europa mutarono notevolmente. Tra fortune e vicende alterne, dalla Francia all’Italia, e in altri Stati, si erano affermati principi e istanze giacobine, prima, e liberali, dopo, non senza riferimenti ideologici e programmatici che facevano capo a modelli dittatoriali presi in prestito dall’antica Roma. Non propriamente Napoleone, ma i suoi emissari furono a Napoli come sovrani: Giuseppe suo fratello per due anni e suo cognato Gioacchino Murat. Negli anni che intercorrono dal 1808 al 1815, quest’ultimo contribuì molto nel campo delle arti e della cultura, arricchendo di manufatti e opere d’arte in stile impero quelle che già erano le residenze borboniche. Anche la Reggia di Caserta venne investita da tali interventi. Gli esempi più brillanti sono visibili nelle stanze di Marte e Astrea, così come ragguardevoli sono le testimonianze di arredi nella camera da letto di Murat. Oltre il suo ritratto e quelli di sua moglie Carolina Bonaparte e i loro quattro figli, così come i dipinti degli altri napoleonidi, eseguiti da autori come Jean Baptiste Wicar, Jacques Berger, Benjamin de Rolland e altri, è da evidenziare la presenza di una piccola scultura equestre in marmo e bronzo di Napoleone, realizzata da Francesco Righetti nel 1810. Posta in un’anticamera della stanza da letto di Gioacchino, questa statua è tra gli oggetti di arte applicata più belli presenti all’interno del complesso vanvitelliano.
Di chiara ispirazione classica e “canoviana”, venne, probabilmente, commissionata da Murat stesso per omaggiare il cognato, il cui merito era stato soprattutto l’averlo innalzato a re di Napoli e quindi avergli dato la possibilità di godere della bellezza di una delle capitali più incantevoli dell’Europa del tempo, ricca di storia e di cultura e fonte di ispirazione classica specialmente grazie ai già ritrovati reperti di Ercolano e Pompei. Murat visse tra Napoli e Caserta, godendo dell’amenità del piano campano. Anni dopo la sua morte, sua moglie Carolina rivendicò a Ferdinando I ciò che era appartenuto alla sua famiglia, ma non ci fu verso. Il ripristinato re Borbone, per quanto non stimasse i francesi, seppe tener per sé ogni cosa che era stata da essi realizzata riconoscendone valore e gusto. Di contro fece strappare le api napoleoniche dalle sedie nella Sala d’Alessandro, ma, ironia della sorte, non riuscì a cancellare quelle del soffitto dell’ambiente oggi identificato come Camera da Letto di Francesco II.
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