Emozioni. Sfumature di parole inquiete, ovvero la malinconia

Emozioni. Sfumature di parole inquiete, ovvero la malinconia

Maria Chiara Salvatore

-Le emozioni sono, con le loro sfumature, una fonte incredibile di conoscenza sulla diversità linguistica e culturale. Ma se spesso è difficile esprimere e descrivere un sentimento, tradurlo lo è ancora di più. Studiare e conoscere la sfera semantica delle emozioni restituisce preziosi spaccati di civiltà, visioni del mondo. 

La malinconia o melanconia, letteralmente “bile nera” (dal greco melas, “nero” e cholé, “bile”), uno dei quattro elementi della dottrina greca degli umori, è forse il più indefinibile degli stati d’animo, il più sfuggente e si rivela estremamente permeabile alla cultura e al sentire di un popolo. Ne assorbe i mali, ne racconta i dolori e le angosce in maniera così intensa da renderli spesso di difficile definizione. Accompagnata dal taedium vitae, un sentimento di noia e gravosità dell’esistenza, la malinconia è un concetto che ritroviamo in tutte le epoche e in molte culture e letterature, fedele compagna dell’umana condizione. 

Non sorprende, dunque, che questo concetto abbia generato, in lingue e culture diverse, parole cosiddette “intraducibili”. Per quanto non sia possibile trovare equivalenti linguistici, è comunque possibile comprendere gli scenari cognitivi, e queste emozioni possono essere spiegate, persino comparate (Wierzbicka, 1999). 

La parola spleen, derivata dal greco splen, “milza”, è entrata prima nella lingua inglese, dove già Shakespeare la adopera con accezioni diverse. Ma la sua iconicità resta legata allo Spleen di Baudelaire, a testimonianza di uno stato d’animo condiviso dai suoi contemporanei e dai predecessori romantici e definito spesso come mal du siècle, male del secolo. Questo male, di cui lo spleen è l’incarnazione, è un sentimento di incapacità di adattarsi alla realtà, un disagio esistenziale che si traduce, tuttavia, in un sentire poetico, in uno stato creativo. In francese, oltre allo Spleen, Baudelaire contribuisce ad accrescere il campo semantico della malinconia con cafard, parola di origine araba di tutt’altra semantica, che grazie allo scrittore francese descrive il magone (CNRTL).

Molto diverso è il concetto di malinconia nella lingua russa. La parola toska (in cirillico тоска, con l’accento sull’a finale, per cui si legge taskà) deriva dalla radice proto-slava tъska (Russia Beyond, 2020), a sua volta probabilmente proveniente dall’indoeuropeo *tuesk, vuoto, da cui il latino tesqua, deserto indica un sentimento di malinconia molto difficile da descrivere e uno dei concetti più complessi della cultura russa. La definizione più bella è probabilmente quella dello scrittore Vladimir Nabokov nel commento alla traduzione dell’Evgenij Onegin di Alexandr Puškin (1964), che parlando della toska dice “non esiste una singola parola inglese che possa trasmettere tutte le sfumature della parola toska. Nella sua massima profondità e dolorosità è una sensazione di grande sofferenza spirituale senza alcuna ragione particolare. Ad un grado intermedio, è un vago dolore dell’anima, il desiderio folle di un oggetto assente, un’agitazione confusa, un’angoscia mentale. In altri casi può essere il desiderio di qualcuno o di qualcosa di preciso, una nostalgia, un desiderio d’amore. Nel suo manifestarsi più delicato, la toska si trasforma in apatia, noia” (trad. nostra). Si può respirare questa malinconia nelle atmosfere del teatro e dei racconti di Cechov.

Legata invece a scenari nostalgici di una realtà perduta e che si vorrebbe riavere, la parola portoghese saudade, derivante dal latino solitas, “solitudine”, è fortemente ancorata alla cultura e alla storia portoghese, al mare e al passato coloniale (Vocabolario Treccani; Dicionario de Real de Academia Galega). Descritta dal musicista Gilberto Gil nella sua canzone Toda saudade (1989) come “a presença da ausência”, la presenza dell’assenza, la saudade si esprime come malinconia della perdita, della patria, della propria casa, di una persona, di un passato che non esiste più. La poesia di Fernando Pessoa ne è fortemente impregnata. 

Vicina alla malinconia portoghese c’è la parola gallese Hiraeth o Hireth (si pronuncia here-eyeth) composta da hir, long e aeth. Ci sono diverse ipotesi sull’etimologia: aeth potrebbe rappresentare un suffisso nominale che serve per creare sostantivi astratti o essere la terza persona singolare del verbo mynd, andare, significando in questo caso “che è sparito da molto tempo” (Geiriadur Welsh-English Dictionary). Hiraeth indica un misto tra la nostalgia di casa, desiderio e consapevolezza di aver perso qualcosa per sempre. Ma il dolore legato a tutto ciò si rivela non del tutto sgradevole. Si tratta di un concetto ancora una volta legato all’abbandono della patria, all’identità e alla storia gallese in relazione a quella inglese (BBC, 2021). 

Infine, c’è una parola nostrana, l’appocundria, variante napoletana di ipocondria, entrata nella lingua grazie alla musica di Pino Daniele. L’enciclopedia Treccani definisce l’appocundria “fatalistica accettazione delle sorti della vita, segnata da una noia esistenziale e venata di scettico ma malinconico distacco per qualcosa di indefinibile che non è, non è stato e non è potuto essere”. Il cantante napoletano scrive “Appocundria me scuppij ogni minuto ‘mpietto” e non a caso ipocondria letteralmente vuol dire sotto le costole (dal greco hypo, “sotto”, chondros, “cartilagine dello sterno”). 

La bellezza della diversità linguistica e culturale dei sentimenti risiede forse nella possibilità di trovare l’indefinibilità di uno stato d’animo altrove, in un’altra lingua, in un’altra cultura, dove qualcuno è riuscito a esprimere l’inesprimibile. 

Le parole della malinconia, e tante come loro, non si possono tradurre, si possono raccontare o si possono ascoltare raccontate e la letteratura è un mezzo potentissimo per comprenderle. Il linguaggio traccia i confini del nostro mondo, reale, immaginario, affettivo. Ed è per questo che le parole altrui sono un prezioso varco verso nuove dimensioni. La sensazione è di percepirle, di sentirle per davvero o di trovare la voce che esprime quello che la nostra lingua non può esprimere. Dopotutto, nonostante le differenze rivelatrici, le singolarità culturali, le storie nascoste, la malinconia è un sentimento universale, e la sensazione di una solitudine condivisa rende forse meno soli.

*Dottorato in Eurolinguaggi e Terminologie Specialistiche – Università degli Studi di Napoli “Parthenope”

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Maria Giovanna Petrillo
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Magi Petrillo alias Maria Giovanna Petrillo è professore Associato in Letteratura Francese e giornalista pubblicista. Incardinata presso il Dipartimento di Studi Economici e Giuridici dell’Università degli Studi di Napoli “Parthenope”. Insegna “Abilità Linguistiche in Lingua Francese” e “Civiltà Francofone. Dal 2021 coordina il Collegio Docenti del Dottorato di ricerca in Eurolinguaggi e Terminologie Specialistiche. Formatrice CLIL/EMILE. I suoi campi di ricerca riguardano la letteratura francese e francofona dal XIX secolo all’estremo contemporaneo; alcuni lavori indagano la polarità tra giornalismo, cinema e letteratura.

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