Femvertising, quando lo spot tv diventa una rivoluzione gentile
– Il femvertising è una forma di pubblicità nata nei primi anni del duemila tesa a smascherare gli stereotipi di genere, che dedica i propri spot e le proprie campagne a un pubblico femminile guardato con occhio più attento rispetto alla reale condizione della donna nella società contemporanea. Questo, però, sì negli intenti, ma non sempre nei fatti: e anche se i tentativi in questa direzione sono comunque da lodare, il rischio di svuotamento di un argomento controverso come quello della disuguaglianza di genere in favore della ricerca di maggiore consenso e di nuovi e nuove clienti è alto.
La pubblicità ha un certo potere di conferma sulle cose: il fatto che voglia spingere chi la guarda a comprare un prodotto la obbliga a selezionare tutto ciò che il pubblico già gradisce. Guardare alla novità è un azzardo che non le è quasi mai consentito: e molti dei cambiamenti in atto nel mondo vengono ridotti a semplice apparenza, perché il pubblico possa sentirsi moderno, “sul pezzo”, restando, però, in fondo fedele a vecchi schemi.
Inoltre, cosa si può dire di un movimento femminista “riparativo” nato quando il femminismo della terza ondata bussava già alla porta della società negli anni novanta del Novecento, ormai più di venti anni fa? La pubblicità si è impadronita del femminismo quando il femminismo ha iniziato a essere una tendenza oltre che un ideale. Possiamo comunque rallegrarci della sua adesione alla causa, per quanto tarda? Sì: ma con cautela.
Lo stesso termine femminismo porta in sé le tracce di un conflitto – mai sanato, ma non per forza in senso negativo – riguardo al suo significato: esaltazione delle differenze tra sessi, credenza nella loro totale uguaglianza o, addirittura, rivendicazione in direzione di una presunta superiorità della donna sull’uomo? In generale, la nuova tendenza del femvertising dimostra una sostanziale difficoltà della pubblicità a non impoverire i contenuti che decide di rappresentare.
La maggior parte degli spot “femministi” rappresentano soltanto donne, ad esempio, e sono focalizzati sul loro punto di vista: il rischio è quello di un’ambientazione filtrata, di una bolla separata dall’elemento maschile in un dibattito e in un conflitto che si originano proprio perché entrambi i due sessi esistono e interagiscono tra loro. Il rischio è sempre lo stesso, qui nella pubblicità come altrove: che la donna continui a incarnare il particolare, e l’uomo l’universale. La donna può essere protagonista quando si parla soltanto a un pubblico femminile: mentre l’uomo rappresenta entrambi i sessi.
Uno spot felicemente femminista del 2018 è quello di Enel, anche se a prima vista non si direbbe. Senza sbandierare chiassosamente il suo approccio anticonformista alla causa, le varie sequenze che costituiscono lo spot accantonano una serie di stereotipi davvero radicati nella rappresentazione del mondo da parte della pubblicità. Donne e uomini, qui, sono finalmente ritratti sullo stesso identico piano. Vi sono una serie di scene che ritraggono i personaggi utilizzare strumenti e risorse tra i più disparati, oggetti, tutti, accomunati dall’alimentazione di energia ad essi necessaria per il funzionamento: droni, computer, pannelli solari, auto… e non solo: il gioco di parole – riuscito – dello spot è tra l’energia che alimenta, appunto, i dispositivi di cui ci serviamo per lavorare e per vivere e quella umana, l’energia proveniente da noi stessi.
A partire da questo concept, vediamo donne e uomini compiere diverse attività: e in questo spot non c’è nessuna differenziazione sessuale nell’assegnazione dei diversi ruoli e contesti. Addirittura, tra di essi, vi sono due totali rovesciamenti: una donna alla guida di un’auto – un vero miracolo nel mondo della pubblicità: cercare per credere – e un uomo, da solo in casa, che accudisce suo figlio di pochi mesi – rappresentazione, questa, non meno sorprendente della prima. Vi è una donna che lavora al computer, una giovane ragazza che fa una presentazione a scuola, una donna fotografa… una donna ciclista – e anche qui sarebbe stato ovvio e più tradizionale, dovendo scegliere tra i due sessi per una sola rappresentazione di atleta in tutto lo spot, usare un uomo; viceversa, c’è anche un uomo che cucina in casa senza l’allure da chef tanto cara ai programmi di cucina di alto livello, ma semplicemente per il gusto di preparare la cena.
Questo è, a mio parere, il femvertising che ci serve: troppo facile sostenere di avere un approccio femminista quando non si è disposti a rischiare di rappresentare la donna intenta a muoversi nel mondo reale, dove è più che naturale vederla alla guida di un’auto. Donna in azione, non più colta in immagini statiche di rallentamento e di sua contemplazione all’interno della narrazione.
La rivoluzione dello spot di Enel è una rivoluzione gentile, che senza facili slogan riesce dove tanti spot dallo scopo conclamato di combattere gli stereotipi hanno fallito.
*Dottorato in Economia Quantitativa ed Eurolinguaggi per la Sostenibilità del Benessere/Eurolinguaggi e Terminologie Specialistiche – Università degli Studi di Napoli “Parthenope“
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