Food porn, i piaceri della tavola. Così l’eros diventa voyeurismo
Uno degli hashtag più popolari in uso sui social network è #foodporn, che a prima (s)vista parrebbe indicare una categoria vietata ai minori. In realtà, quello che potremmo tradurre come “gastro-porno” o “pornografia alimentare”, è un termine inglese privo di connotazioni oscene e che poco ha in comune con l’idea di pornografia, se non per quanto attiene al concetto di piacere un po’ morboso ottenuto tramite la raffigurazione esplicita e riferito, in questo caso, all’appagamento della vista e del palato.
L’origine del concetto di food porn è controversa, viene attribuita da alcuni al linguista e semiologo Roland Barthes, da altri allo scienziato nutrizionista Michael Jacobson, e in tempi più recenti alla giornalista e scrittrice inglese Rosalind Coward, che ne ha contribuito alla diffusione scegliendolo in un suo libro per definire il desiderio simil-sessuale che può scaturire da un piatto cucinato con passione e preparato in maniera scenografica.
Di fatto, con questo neologismo entrato di recente nella lingua italiana e reso popolare soprattutto dai social media, si fa riferimento non soltanto all’ossessione per il cibo, ma soprattutto alla maniera di presentarlo; food porn intende infatti definire la pratica di fotografare gli alimenti offrendo immagini di piatti esteticamente accattivanti e appetibili al punto tale da far venire l’acquolina in bocca – pietanze, insomma, da mangiare con gli occhi e che seducono al solo sguardo, in una sorta di erotismo visivo. Tali immagini, contraddistinte dalla maniacalità di dettagli e inquadrature, vengono di norma condivise nelle reti sociali, pubblicate da utenti che fanno sfoggio dei loro piatti succulenti, cucinati a casa o consumati al ristorante, ma si ritrovano anche nelle riviste patinate, nei blog gastronomici, nei libri di cucina, negli spot pubblicitari e nelle trasmissioni televisive.
Questo termine, dunque, implica il piacere voyeuristico del cibo e ne designa soprattutto l’aspetto fotografico trattandosi, in effetti, di una branca del food photography che, con l’avvento massiccio dei social network, si è sviluppata fino a diventare virale. La luce giusta, le sfumature di colore, l’esaltazione dei piatti: la cosiddetta “fotografia foodporn” rappresenta uno dei migliori veicoli comunicativi e pubblicitari per presentare le pietanze nella loro forma migliore. Come è intuibile, dunque, il concetto di food porn non denota soltanto una dilagante moda sociale, ma un fenomeno molto produttivo a livello di marketing per tutte le attività legate al cibo.
La ricerca scientifica ne supporta i risultati: gli effetti sul cervello umano del bombardamento visivo che ne deriva vengono costantemente studiati da ricercatori e psicologi. Infatti, il senso della vista, secondo studi ed esperimenti condotti in questo ambito, stimola gli altri sensi arrivando prima al cervello. E’ stato provato che l’ormone responsabile del senso di fame registri picchi altissimi subito dopo aver visto immagini che ritraggono pietanze appetitose. Naturalmente, ciò avrebbe come risultato un incremento del desiderio di cibo e quindi dei consumi. Insomma, sembrerebbe confermato che il cibo si mangia non solo con la bocca, ma prima di tutto con gli occhi.
Anche in ambito pubblicitario si parla ormai di “food porn italiano”, il quale si pone come obiettivo quello di promuovere il cibo − anzi, il food – nostrano, soprattutto attraverso l’utilizzo dell’estetica del food porn, ossia la diffusione di immagini pubblicitarie professionali. Inoltre, sempre nel panorama italiano, ricercando nel web è possibile persino imbattersi in corsi di “Food Porn Master”, che uniscono l’arte della presentazione dei piatti a quella del food photography.
Da un punto di vista linguistico, almeno in questo caso, non sono presenti nella lingua italiana valide alternative all’uso di questa locuzione inglese visibilmente sintetica, immediata e significante. Numerose sono inoltre le derivazioni di #foodporn: si va dal #veganfoodporn, al #foodporndaily per quelli che vogliono essere aggiornati quotidianamente sull’argomento, passando per #foodgasm, #foodpornphoto, #foodpornography, ecc., in una galleria interminabile di anglicismi telematici. Gli appassionati seguaci di questo trend gastronomico, sempre prendendo a prestito dall’inglese, vengono invece chiamati foodies, termine che indica gli amanti della buona tavola ma che risulta chiaramente più chic degli italici “buongustaio”, “buona forchetta” o “ghiottone”.
In definitiva, è evidente come negli ultimi anni vi sia stata anche in ambito gastronomico una vera e propria invasione di vocaboli di origine anglofona, che sta depauperando in maniera crescente il nostro ricco e antico patrimonio gastro-linguistico. Forse sarebbe auspicabile un po’ più di sana, pornografica passione per la nostra lingua?
* Dottorato in Eurolinguaggi e Terminologie Specialistiche Università degli Studi di Napoli “Parthenope”
About author
You might also like
Crepet da Franco Pepe, a Caiazzo per un percorso di gusto
Maria Beatrice Crisci – Tappa da Pepe in Grani a Caiazzo prima dello spettacolo al Belvedere. Paolo Crepet così ha voluto iniziare la sua giornata casertana che lo ha visto protagonista
Una donna chiamata Augusta, il culto di Sant’Elena a Caserta
Luigi Fusco – Designata a essere tra le principali sostenitrici del cristianesimo primitivo, madre dell’imperatore Costantino, Elena, per quanto fosse di origini nobili e pagane, dimostrò sin da piccola di
NewHope, Caserta ha un grande cuore. Lo dimostra con gusto
Claudio Sacco – Il grande cuore di Caserta si è ritrovato in una fredda mattina di dicembre al Bar Serao a Caserta per l’evento di beneficenza in favore della cooperativa