Gaffe britannica: come il Sud è percepito all’estero
(Mario Caldara) – Gli ultimi giorni sono stati burrascosi, mediaticamente parlando, per i napoletani, i siciliani ma, sarebbe più corretto dire, per gli italiani. Quanto avvenuto è già noto a tutti, per la risonanza che ha avuto in tutto il paese, superandone anche i confini. In Gran Bretagna, da un semplice meccanismo burocratico, qual è l’iscrizione online a una scuola, alla voce “nazione di appartenenza”, sono state constatate diverse categorie di italiani: italiani, napoletani, siciliani. L’indignazione della parte offesa (non si sa quanto “il resto degli italiani” l’abbia presa male, ma ci si arriverà) non si è fatta attendere, e anche giustamente. Così come puntuali sono state le scuse britanniche. Ciò su cui si vuole riflettere, ora, è la causa scatenante di questo episodio imbarazzante. Alcuni l’hanno – ingenuamente – affibbiata a un’eccessiva precisione tipica dello stile inglese ma, fosse così, non si spiegherebbe l’assenza delle restanti diciotto regioni.
Altre voci, invece, hanno detto qualcosa di più interessante su cui è bene ragionare, parlando di stereotipi legati all’ignoranza. Cosa vuol dire? Molti stranieri (a meno che non leggano Eco e Saviano, per fare due illustri esempi – ma in tal caso il livello culturale sarebbe di un certo spessore), se sentono parlare di italiani, hanno in mente ciò che più salta all’occhio, vale a dire imbrogli politici, appalti truccati o il “bunga bunga”, mentre associano i napoletani o i siciliani alla criminalità organizzata, prima ancora che al mare. Una realtà ingiusta ma pur sempre una realtà e, in quanto tale, ingombrante, creatrice dello stereotipo di cui si accennava poc’anzi. Per fortuna, i tanti stranieri che ci fanno visita scoprono che siamo perlopiù normali, onesti e, soprattutto, ospitali (tranne alcuni casi, ma quelli sono ovunque). E cosa ne è degli altri, di quelli che non hanno la fortuna di vedere con i propri occhi? Gli altri sono vittime delle generalizzazioni, delle semplificazioni, perché, sostanzialmente, non conoscono. In tal senso, i media, capaci di coprire qualsiasi distanza, dovrebbero aiutare maggiormente e, in questa ottica l’imbarazzo britannico dovrebbe essere provocato molto più che da una semplice caduta di stile. È dimostrazione di un’ignoranza a dir poco inaspettata, intesa come non conoscenza, considerato che si parla di un paese avanzato e multiculturale, che fa dell’unione tra le diversità un caposaldo.
Un altro dato da affrontare è la puntuale indignazione italica. In Italia ci s’indigna facilmente, i carri dei vincitori diventano in fretta quelli dei perdenti e così via. Sarebbe interessante capire se le “parti lese” includano anche il resto d’Italia, e non solo la Campania e la Sicilia. Che il nostro paese non sia poi così coeso è un fatto. C’è uno spaccato interno che dimostra quanto un bel po’ di cittadini del settentrione non vedano di buon occhio i meridionali. Molte sono le storie di professionisti che hanno dovuto faticare il doppio per affermarsi al Nord, solo perché napoletani, calabresi o siciliani. Il termine dispregiativo “terrone” non è stato abbandonato, mentre i pregiudizi verso la gente del mezzogiorno, chissà per quale motivo, sono ancora oggi attualità. Per non parlare dei cori da stadio offensivi inneggianti il Vesuvio o il razzismo che arde come il fuoco in alcuni contesti cittadini. Offendersi e indignarsi è legittimo, ma sarebbe ancor più importante liberarsi di certe mentalità retrograde, che paiono come tracce indelebili sparse lungo lo stivale. D’altronde è un controsenso aspettarsi una sorta di correttezza dall’esterno, se all’interno si fa l’opposto. Sarebbe come voler insegnare agli altri le buone maniere, senza metterle in pratica in prima persona.
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