Gaslighting, quando la violenza si fa subdola e poco apparente
– Un rapporto privo di atti di violenza visibili non è necessariamente un rapporto sano. Questa considerazione può indurci all’analisi di molteplici forme di violenza inapparente, fra cui il “gaslighting” è sicuramente una delle più subdole e meno note. Il termine deriva da una celebre pellicola degli anni Quaranta, valsa a Ingrid Bergman la sua prima statuetta d’oro: “Gaslight”. L’adattamento italiano fu “Angoscia” (svedese: Gasljus, finlandese: Kaasuvalo, turco: Isiklar sönerken, greco: Efialtis, portoghese Meia Luz, Francese: Hantise), con lo scopo di veicolare il senso di oppressione psicologica interpretato e trasmesso da Ingrid Bergman. Una traduzione abbastanza felice, si potrebbe dire. Sennonché il noir dello statunitense George Cukor raggiunse presto una certa fama e, per citare Alexandra Jaffe – docente di antropologia linguistica presso la California State University –, il “genio” della lingua ne trasse un significato nuovo: se Paula (Ingrid Bergman) viene portata lentamente e sottilmente alla pazzia da suo marito – il quale modifica, fra le altre cose, l’intensità delle lampade a gas (gaslight, appunto, in inglese) – l’atto manipolatorio altrettanto fine e ben congegnato che un narcisista patologico pone in essere nei confronti della sua vittima viene definito – finanche su riviste di settore – come “gaslighting” (IPSICO). Vista l’inappropriatezza in questo campo dell’adattamento utilizzato negli anni Quaranta, la psicologia clinica ha sentito l’esigenza di ricorrere ad altre strategie offerte dalla linguistica. Nasce così la parafrasi ad hoc “manipolazione psicologica maligna” che, però, viene il più delle volte sostituita dal prestito linguistico.
Può essere interessante, a questo punto, approfondire le dinamiche del gaslighting. Come comincia? A quale scopo? È possibile porvi fine? Ebbene, dopo un’iniziale fase di bombardamento affettivo (a cui, in genere, segue un breve e autolimitante periodo di astensione), il/la gaslighter inizia il suo atto manipolatorio. Riavvolge, insomma, i fili intessuti fino a quel momento per scoprirsi finalmente in grado di governare la vittima, a mo’ di marionetta. La negazione di fatti realmente accaduti, la banalizzazione dell’impegno e dello spirito etico della vittima, la contrapposizione fra la vittima ed esempi considerati dal/dalla gaslighter come “un punto di arrivo” sono all’ordine del giorno. Viene operato intenzionalmente un lento e preciso stillicidio dell’autostima della vittima e l’arma del delitto non è altro che la fiducia incondizionata che la vittima stessa ripone nell’altra persona. Il tutto risulta in una profonda depressione psicologica che rende la vittima del tutto dipendente dal suo boia e viceversa. Difatti, come ogni persona che opera nel male, il/la gaslighter non percepisce la malevolenza del suo operato ma, anzi, presuppone l’esistenza di un ideale che solo la sua rara sensibilità è in grado di intuire e desidera aiutare la vittima a raggiungere questo ideale, in altre parole, a migliorarsi. Vittima e gaslighter possono vivere in uno stato di apparente felicità per molto tempo, ma il subconscio di entrambe le personalità sentirà sempre il peso delle maschere che si sono autoimposte e della recita che devono autosostenere. Inizierà, allora, un nuovo ciclo di violenze e manipolazioni. Dire se sia possibile porre fine alle dinamiche del gaslighting è più difficile. Anzitutto in base alla scarsa consapevolezza dello status di vittima da una parte, ma anche dello status di carnefice dall’altra. Emersa questa consapevolezza, però, le difficoltà maggiori si incontrano nel tentativo di spezzare questo legame di mutua dipendenza. La vittima tende a sentirsi abbandonata, privata di uno scopo e, soprattutto, d’identità. Il/la gaslighter, invece, avverte la mancanza di controllo della vittima – da cui traeva estrema soddisfazione – e, soprattutto, di riconoscimento della sua superiorità intellettiva. È possibile, pertanto, che una tale personalità possa sviluppare nuovi tipi di violenze, spesso più manifeste. Il gaslighting in sé non è considerato reato, ma è connesso ad altre forme di reato come ad esempio la violenza domestica o lo stalking. La difficoltà principale nel denunciare queste violenze, tuttavia, risiede anche nell’incapacità di districarsi dai fili della manipolazione o, come spesso accade, persino di accorgersi di essere rimasto completamente imbrigliato e avvinto al suo male.
*University of Naples “Parthenope”
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