Giorno della Memoria, il valore sociale e civile di Tora e Piccilli
-Il 27 gennaio, come ogni anno dal 2005, ricorre la commemorazione delle vittime dell’Olocausto, in quanto nello stesso giorno, ma nel 1945, le truppe dell’Armata Rossa, già impegnate nell’offensiva Vistola-Oder in direzione della Germania, liberarono il campo di concentramento di Auschwitz, scoprendo così gli orrori che erano stati perpetrati nei confronti degli ebrei, vittime del genocidio nazista.
Per non dimenticare, questa è la frase che, da tempo, viene utilizzata nelle tante iniziative messe in campo in occasione del Giorno della Memoria. Tra dibattiti, attività didattiche e presentazioni di documentari storici, molteplici sono le realtà associative e le fondazioni culturali che si attivano nel territorio casertano per presentare apposite manifestazioni, con l’obiettivo di rendere protagonisti soprattutto i giovani studenti di ogni ordine e grado. Negli ultimi anni, molti convegni sono stati organizzati dal Centro Studi “Francesco Daniele” di Caserta, presieduto dal professor Felicio Corvese, così come dalla locale Amministrazione Comunale, dall’Istituto Campano per la Storia della Resistenza, ma, soprattutto, dai dirigenti di tutti gli istituti scolastici di Terra di Lavoro.
A ogni incontro sono emersi, sempre, nuovi e inediti aspetti storici legati alla Shoah campana. Fra questi, il caso più interessante è rappresentato dalla vicenda che riguardò le cittadine di Tora e Piccilli e, chiaramente, i suoi abitanti. All’epoca, presso questi due piccoli Comuni, oggi unificati, trovarono rifugio numerose famiglie ebree di Napoli che erano state schedate dalla prefettura a partire dalla primavera del 1942. La scelta di Tora fu, probabilmente, non casuale. Diversi studiosi hanno ipotizzato, più volte, che gli stessi ebrei partenopei vennero attirati dal toponimo di questa piccola municipalità, in quanto era assimilabile a Torah, cioè alla parola indicante la legge e gli insegnamenti della dottrina ebraica. Al momento del loro arrivo, furono guardati dai locali in maniera sospetta, poiché erano considerati discendenti dei colpevoli che avevano causato la morte di Cristo, ma, in seguito, spinti dalle prediche del loro parroco don Ferdinando Corpo, decisero di portare aiuto e conforto ai rifugiati. Anche i gerarchi fascisti del posto diedero il loro contributo, evitando di rivelare alle autorità competenti la vera identità degli esuli; la baronessa Antonietta Falco, invece, rese disponibile la sua grande villa, facendola divenire una vera e propria sinagoga così da consentire agli stessi ebrei di poter officiare i loro riti. Anche dopo l’8 settembre del ’43, con l’arrivo dei tedeschi, e i rastrellamenti di migliaia di uomini e la loro successiva deportazione nei vari campi di concentramento, i toresi evitarono di denunciarli.
In ricordo di ciò che era accaduto, restarono, dopo, i racconti di coloro che erano riusciti a scampare alle catture; narrazioni che mettevano in luce la solidarietà degli abitanti di Tora e Piccilli nei confronti dei perseguitati. Tali testimonianze vennero poi raccolte in documenti fotografici e testuali editi nel volume Il silenzio dei Giusti del giornalista Piero Antonio Toma.
La vicenda è stata ripresa pure nel docufilm “Terra bruciata” di Luca Gianfrancesco del 2017, ricordando come le istituzioni e gli abitanti di Tora e Piccilli, con il loro silenzio, salvarono una cinquantina di ebrei dalla deportazione.
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