Hic sunt leones, i ludi romani di caccia all’Anfiteatro Campano
– Secondo al Colosseo per la sua grandezza, ma non per gli spettacoli che vi allestivano, è stato, nel mondo romano, l’Anfiteatro Campano. Innalzata all’epoca di Adriano e sistemata dal punto di vista decorativo sotto l’impero di Antonino Pio, l’arena dell’antica Capua, oggi Santa Maria Capua Vetere, fino al IV secolo d.C. attirò numerosi spettatori proprio per la singolarità dei ludi che vi venivano organizzati.
Nella sua immensa cavea, divisa in tre settori a seconda delle classi sociali di appartenenza, prendeva posto un pubblico abbastanza variegato, in quanto proveniente da ogni parte del territorio campano e, inoltre, desideroso di assistere ai combattimenti dei gladiatori e, in particolare, alle esibizioni venatorie.
La venatio, cioè la pratica della caccia, si svolgeva all’interno degli anfiteatri sin dall’età repubblicana grazie ai munera degli aediles. Successivamente venne promossa dall’imperatore, mentre verso lo scadere del I secolo d.C. divenne prerogativa dei lanisti.
Le venationes, in origine, erano previste nel corso dei ludi triumphales, gladiatorii e funebres e, generalmente, aprivano la giornata degli spettacoli. Gli animali feroci ed esotici che vi venivano coinvolti, provenivano dall’Africa, ed erano noti ai romani sin dai tempi della conquista di Cartagine, avvenuta nel II secolo a.C.
Presso l’Anfiteatro Campano giungevano di continuo un gran numero di leoni, pantere, leopardi, struzzi, ma anche coccodrilli, ippopotami, rinoceronti e orsi, bestie che dovevano divertire gli spettatori, specialmente quando ad esse venivano dati in pasto i disertori o i criminali già condannati a morte. Da questa brutale consuetudine ne derivò la locuzione damnatio ad bestias. A Capua, le fiere ed altre belve feroci venivano alloggiate nei sotterranei dell’arena, chiuse in vere e proprie carceri e costrette a stare al buio e senza mangiare per diversi giorni, in modo da far aumentare la loro aggressività.
Nonostante lo stato di cattività in cui versavano tali animali, le celle dove erano rinchiusi erano igienicamente perfette e controllate di continuo, poiché si doveva evitare per essi qualsiasi tipo di infezione che potesse comprometterne le condizioni di salute.
Le bestie erano state pagate, ed anche tanto, per intrattenere gli spettatori, per aumentarne l’adrenalina nell’attesa di assistere agli scontri tra i gladiatori. Innumerevoli sono state le carneficine, animali ed umane, che si sono consumate dentro l’anfiteatro sammaritano durante le cacce o nel corso dei combattimenti tra le belve stesse. Con il passar del tempo, vennero inaugurati nuovi ed inquietanti ludi, messi in scena, spesso, non solo per allietare il pubblico, ma anche per dimostrare quanto grande fosse Roma anche davanti alla spettacolarizzazione della morte.
Luigi Fusco – Docente di italiano e storia presso gli Istituti Superiori di Secondo Grado, già storico e critico d’arte e guida turistica regione Campania. Giornalista pubblicista e autore di diversi volumi, saggi ed articoli dedicati ai beni culturali, alla storia del territorio campano e alle arti contemporanee. Affascinato dal bello e dal singolare estetico, poiché è dal particolare che si comprende la grandezza di un’opera d’arte.
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