Il destino della Reggia di Caserta è scritto… nel suo nuovo logo
Vincenzo Notaro * – «Esistono prigioni anche per piante». È ciò che ho pensato quando lo scorso anno sono tornato alla Reggia di Caserta in occasione della riapertura del Giardino Inglese. «Vale, speriamo di fotografare i cigni!». Nemmeno l’ombra.
Marco – un collega che si occupa di marketing – e Chiara – docente inglese madrelingua – ridevano dinanzi al cartello in inglese sgrammaticato; nel mentre, io fotografavo le ragnatele tra i complessi statuari – anche la decadenza ha il suo fascino. Poi, un’orda di srilankesi con radio dance a volume imbarazzante e tante, troppe tartarughe carnivore, chissà se messe lì al posto dei cigni…
Come vedete dalla foto, c’erano aree abbandonate al totale degrado, una cosa indegna e oltremodo triste.
L’unica parola che mi sovvenne fu “squallore”, una parola che fa male. Malissimo. Se solo penso a quanto sia legato alla Reggia di Caserta, la sua bellezza maestosa e commovente, il vivido ricordo del senso di meraviglia che provai quando, in gita scolastica alle elementari, per la prima volta vidi le magnifiche cascate… poi, le prime fughe d’amore, ritornarci per la grande arte contemporanea, studiarne e amarne alla follia l’architettura e immensamente oltre la natura…
E oggi mi arriva questo disastro: il nuovo logo della Reggia.
Non so se dare ragione al mio amico Enzo Battarra sull’esigenza o meno di avere un logo per un bene monumentale e paesaggistico, di certo abusare di marketing e comunicazione è un effetto del liberismo fuori controllo che ha rovinato troppe cose. Ma esistono, senza alcun dubbio, modi di comunicare etici e ispirati, e né il vecchio logo, né il nuovo logo della Reggia di Caserta, a mio avviso, ne sono esempi.
Forse il vecchio logo aveva anticipato la situazione «più black della midnight» nella quale si è poi trovata la Reggia. Quel pittogramma nero, asettico, geometrico, la diceva già lunga… Ora, sebbene nella nostra società occidentale contemporanea spesso si verifichi una frattura tra forma e sostanza, in comunicazione accade che quell’identità si ripresenti in via destinale – e negativa, proprio per l’assenza di contenuto spirituale della forma – quasi come uno schiaffone. Cerco di spiegarmi: il principio nomen omen valido per le parole ha una sua validità anche nel regno delle immagini, che sono magiche (dal greco imago), etimologicamente e realmente. Chi ha studiato Giordano Bruno sa esattamente cosa intendo (si vedano i talismani del Lampas Triginta Statuarum).
Ma per farla semplice, possiamo spiegarci la carica mantica delle immagini così: a forza di dipingere male qualcosa, a forza di sformarla, si finisce per deformarne la sostanza. Sul piano destinale – «è quasi magia!» – si finisce con l’inverare una deformità. Ma veniamo al nuovo logo della Reggia di Caserta… Potrei scrivere un libro su quanto sia profondamente sbagliato da un punto di vista tecnico e quanto sia irrilevante e senza anima dal punto di vista creativo. Già l’aver sostituito il pittogramma con un logotipo – l’anonima sigla RC – è quanto dire. Per non parlare dell’effetto monotono che emerge nonostante l’uso di ben due colori, contro l’unico colore della precedente versione, senza dubbio meno grigia.
Potrei perfino mettermi a ricercare tutte le copie in giro per il mondo di questa banalissima sigla che nulla dice, resta muta, tra le tante – altri l’hanno fatto e c’è da divertirsi.
Ma non lo farò, perché sebbene ogni volta che sbuca un super-pagato logo istituzionale io mi consumi dentro e mi verrebbero da dire cose molto poco istituzionali, in qualità di professionista della comunicazione e di uomo animato da un’etica ferrea e dalla fiamma dell’arte, mi limiterò a dire soltanto una parola: ancora una volta, “squallore”.
Sì, è troppo simile a troppe cose, un errore comune che commettono in tanti: gli incompetenti, i furbastri e, soprattutto, gli sprovveduti. Vero, fa un po’ Banca della Reggia di Caserta, un po’ Saponetta Reggia di Caserta, un po’ Real Reggia di Caserta Estate, un bel po’ «realizza il tuo logo in 2 minuti»…
Ma, alla fine, il problema è uno soltanto: ogni sostanza trova la sua forma perfetta, non ci si può sbagliare: la Reggia di Caserta è un disastro e il nuovo logo aderisce perfettamente al grigiore che ivi dilaga e, ahinoi, molto probabilmente si sta preparando a diventare una prigione non solo per piante, ma anche per la cultura. Sta a noi lasciare che accada oppure fare qualcosa per restituirla al suo autentico destino.
*Vincenzo Notaro. Comunicatore militante, direttore creativo di Officina Mirabilis, sogna un orto sul mare vicino a un vulcano.
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