Il mare non bagna Napoli, ne custodisce tesori e storie
(Mario Caldara) – Ormai è una consuetudine. Una piacevole consuetudine. Come già affermato in passato, Napoli – ma anche le province non scherzano – è un museo a cielo aperto e quello che “nasconde” è molto più di quello che mostra. Da ciò ne consegue che, potenzialmente, la città potrebbe essere un infinito raccoglitore storico, al quale, da un momento all’altro, può aggiungersi l’ennesima pagina.
La nuova, di pagina, questa volta, ha come sfondo il mare, quella distesa ondeggiante che incanta napoletani e turisti, che rappresenta la punta di diamante della città e che le dona una parte consistente del suo romanticismo. Chi, guardandolo quieto in una giornata serena, come fosse un immenso letto azzurro, non ha mai cercato con gli occhi di andare oltre la superficie, come se si tentasse di scrutare l’anima di una persona, chiedendosi cosa, quel mondo marino, nascondesse? Nelle acque del porto di Napoli, qualcosa è rimasto custodito a lungo, divenuto un tutt’uno col sale, e attendeva da secoli di uscire da quel dimenticatoio nel quale era finito.
Nei pressi dell’imbarco dei turisti per le isole del Golfo, è stata trovata la corvetta “Flora”, gioiello storico che risale ai Borbone, trenta metri di lunghezza per otto di larghezza. Sono state riportate a galla la campana di bordo e alcune palle di cannone, affidate al laboratorio di restauro del Museo archeologico nazionale di Napoli, che si occuperà del loro “recupero”, sottoponendole a un processo di desalinizzazione.
Interessante è la storia che c’è dietro quella nave e tutte le altre che componevano la flotta borbonica, una tra le più importanti e imponenti di quel periodo. Con Capua assediata dai francesi, il Re Ferdinando di Borbone, ormai sopraffatto dagli eventi a lui sfavorevoli, decise di fuggire a Palermo, nella notte dell’8 gennaio 1799. Una delle ultime decisioni che prese – se non l’ultima – riguardò proprio quella flotta. Per evitare che le navi fossero utilizzate dal nemico, servendole sul cosiddetto piatto d’argento, ordinò all’ammiraglio Orazio Nelson di affondare quelle impossibilitate alla partenza. I sommozzatori, oltre alla campana di bordo e alle palle di cannone, recupereranno presto anche quattro cannoni, le cui dimensioni variano tra il metro e ottanta e i tre metri. Non è ancora certo se si riuscirà a recuperare l’intero relitto, fortemente danneggiato. Ciò su cui si può essere sicuri è che quel mare immenso, così romantico, specchio del cielo, è molto più di quel che sembra.
In copertina: Jacob Philipp Hackert, Porto di Napoli con Vesuvio, 1771
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