Il sacro fuoco dell’arte, Sant’Antonio Abate è made in Caserta
– È il santo del fuoco, ma anche quello del diavolo con le sue tentazioni. Ed è pure il santo del porcellino. Insomma, Sant’Antonio Abate porta con sé un tale carico di immagini e simboli evocativi che tante sono state le rappresentazioni realizzate dagli artisti del passato. Ma non solo. La data del 17 gennaio è uno spartiacque nel calendario. I falò serali annunciano l’arrivo del Carnevale. Quindi a Sant’Antonio si lega anche l’inizio del periodo che più dovrebbe arrecare gioia e divertimento. Ma nel giorno di Sant’Antonio si benedicono anche gli animali, in ragione di quel maialetto onnipresente ai piedi dell’Abate. E nella stessa notte dei falò si dice che gli animali siano in grado di parlare. Questo Santo è dunque una fonte immaginifica straordinaria. E lo è ancora oggi. Gli artisti continuano a essere attratti dei rituali del fuoco, dal rapporto con gli animali, dai racconti miracolosi.
È il fuoco ad attrarre di più la sensibilità degli artisti, un fuoco trasfigurato, rivissuto, catartico, ma non mancano incursioni e sorprese nell’interpretazione del tema. Il contributo degli artisti di Terra di Lavoro è ampio, ricco di spunti di riflessione, di impulsi di ricerca visiva. L’arte made in Caserta si fa apprezzare e riconoscere.
È una tavola di questi tempi e di questi luoghi l’acquerello di Alessandro Del Gaudio che ritrae Sant’Antonio Abate alle prese con il fuoco che brucia il coronavirus. Intorno al Santo gli animali a lui cari, sullo sfondo la Conocchia dell’Appia.
Un rimando all’iconografia classica vive in Roberto Pagliaro. Ripropone, in chiave perfettamente attuale, il ritratto del Santo e i simboli che lo accompagnano, come il fuoco e il maiale nero maddalonese, con la superficie che si popola anche di altri animali.
Ed è un bestiario contemporaneo anche l’opera di Carlo de Lucia, il suo «Santantuono» vede assente proprio l’Abate, ma la sua presenza è nelle cose che gli appartengono, come il fuoco e gli animali, sintesi perfetta, idea pura.
Per Anna Pozzuoli la sagoma del Santo diviene una lingua di fuoco, che disegna proprio la classica figura dell’Abate, ma in una versione tremula, provvisoria, come un sogno che si dissolve tra le geometrie del colore.
Uomini e animali si incamminano, ritratti da dietro. «Tutti a benedire…» è l’ironico e amaro titolo dell’opera di Giovanni Tariello. Sono questi tempi ricchi di tristezza, in cui è legittima la speranza. C’è bisogno per tutti della benedizione del Santo.
Coniuga la protezione per gli animali e la fiamma Giuseppe Vaccaro. Il suo è un «Cavallo di fuoco», forza della natura, indomita volontà di lanciarsi oltre l’ostacolo, fascino e bellezza che si fanno roventi.
È poi il fuoco a rubare sempre più la scena. Anche quando come in «Mystic» di Arturo Casanova, nel titolo come nell’impianto visivo, l’immagine della fiamma è quella della fede, un fuoco inestinguibile che arde dentro.
E c’è grande tensione spirituale anche nel fuoco di Battista Marello, un’onda ignea, ardente, che arriva a sovrastare la superficie come la mente. Ci sono impeto e forza, è un fuoco che scalda le menti e spinge le coscienze.
Ma il fuoco si lega anche al territorio casertano, che negli ultimi anni ha vissuto la stagione dei malefici roghi. Lo sa bene Raffaele Bova, la cui fiamma è densa di fumi, ma anche di ricordi, di memorie. E di timori per gli equilibri dell’ecosistema.
Arriva alla combustione, alla carbonizzazione il fuoco domestico nella installazione di Rino Squillante. Ci sono il pane e le noci. Il rogo è ormai spento, ma restano le tracce della fiamma declinate in pittura, a infiammare una bianca superficie.
Tiene accesa la fiamma Maria Gagliardi. Nel suo video, ogni fotogramma è il frammento compiuto di una narrazione. La sequenza di frame mostra la fiamma che arde all’interno della sagoma, è il fuoco che ognuno si porta dentro.
Anche la fiamma è musica. Sono scaglie sonore di fuoco quelle che dipinge Luigi Esposito, sono lingue incandescenti sottratte alle Malebolge, agli spiriti diabolici del male. È il fuoco di Prometeo rubato agli dei.
Sotto il vulcano vive la città del foco. Vincenzo Elefante trasmette nel suo lavoro l’energia, il magma del Vesuvio. Il fuoco è nei lapilli di pura pittura, è nel colore che dilaga incandescente inondando il campo della visione.
E c’è tanta pittura anche nell’opera di Mimmo Petrella. Il rosso prende campo, cattura lo sguardo, lo conduce negli abissi, tra l’impalpabile nero dei fumi che si sollevano come tracce volatili di passioni e sentimenti.
Ad Antonio d’Amore il compito di chiudere il racconto. Nella sua opera non c’è rimando alle forme e ai simboli della tradizione, ma c’è il rosso, così intenso, così sanguigno. È rovente l’opera, è un mare di fuoco su cui vengono a galla pillole di scrittura.
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