Imprecisione terminologica e marketing: la birra doppio malto

Imprecisione terminologica e marketing: la birra doppio malto

Nicla Mercurio

-Ogni settore del sapere umano possiede una propria terminologia, vale a dire un insieme di termini esclusivi di un linguaggio settoriale (Rovere in Treccani 2010). Per “terminologia” si intende però anche la disciplina che si occupa della standardizzazione di tali linguaggi, al fine di ottenere una comunicazione specialistica univoca, priva di ambiguità, che faciliti la comprensione e la diffusione delle conoscenze (Zanola in Treccani 2011). Tuttavia, alla precisione terminologica si contrappone la complessità della società, a cui lingua e discorso sono strettamente correlati. Una società in costante evoluzione, fatta di parlanti che, anche se non esperte/i di un determinato settore, ne possono assimilare e riutilizzare la terminologia – soprattutto grazie ai (social) media. Si pensi al processo di “determinologizzazione”: un termine di un ambito specialistico diventa, cioè, una parola del lessico comune, acquisendo talvolta un allargamento di significato o distaccandosi da quello originario (Bertaccini, Lecci e Bono 2008), con conseguenti casi di polisemia, imprecisioni e usi impropri.

Ad esempio, spesso aziende e locali pubblicizzano “birredoppio malto” – se non addirittura triplo, come riporta il Birrificio della Granda –, e altrettanto spesso la clientela le richiede convinta di provare una bevanda che risponda a certe caratteristiche: la presunta “birra doppio malto” è scura o ambrata, corposa e alcolica. Chi non ha particolare dimestichezza con l’universo brassicolo non vi noterà alcuna inesattezza; d’altronde, la dicitura è presente anche sulle etichette di alcune birre, che siano industriali o artigianali (per la denominazione “birra artigianale”, si veda il comma 4-bis dell’art. 2 della legge n°1354/1962, Normattiva 2016). Il termine non è nemmeno di recente introduzione, ma è tornato alla ribalta a seguito dell’affermarsi dei primi microbirrifici italiani – siamo nel 1996, e il movimento si inserisce nel “Rinascimento” della birra artigianale (The Beer Renaissance) cominciato negli Stati Uniti negli anni Ottanta, come riporta il manuale Corso di degustazione birra – Primo livello. Conoscere e degustare le birre dell’Associazione Unionbirrai (UB 2020: 14-15). La cultura brassicola si è dunque diffusa anche nei paesi a tradizione vinicola: diversi studi (Aquilani et al. 2015: 214-215; Asso Birra 2021) e rapporti (Brewers of Europe 2021: 9) sottolineano un notevole incremento della produzione e del consumo di birra in Italia, e l’interesse da parte di un pubblico sempre più ampio, attento ed esigente, che, fra le altre cose, ha iniziato a rimarcare l’abuso del termine “birra doppio malto”.

Questo compare alla voce “malto” del vocabolario online Treccani, dove si legge: “birra doppio m., preparata con un miscuglio di malto d’orzo e di frumento”. La definizione indica che una “birra doppio malto” viene prodotta utilizzando due diversi tipi di cereale – l’orzo e il frumento –, da cui l’aggettivo “doppio”. Più precisa risulta l’enciclopedia Treccani, che, alla voce “birra”, lo inserisce nel paragrafo Disposizioni Legislative. Difatti, il termine “birra doppio malto” appartiene all’ambito giuridico, e lo si ritrova nello specifico nella già citata legge n°1354/1962. L’art. 2 menziona la classificazione “tutta italiana” (UB 2020: 132) che distingue in “birra analcolica”, “birra leggera” (o light), “birra”, “birra speciale” e “birra doppio malto” sulla base del grado Plato o saccarometrico – l’unità di misura che esprime la quantità di zuccheri presenti nel mosto prima della fermentazione. Si tratta quindi di una denominazione di vendita, ben sfruttata nel marketing, che non rivela alcuna caratteristica della ricetta o dello stile della birra, ma che influisce sulle accise che il birrificio deve versare (art. 34 del D. L. n°504/1995 Normattiva 2023). Può, forse, suggerire qualcosa circa il tenore alcolico, in quanto una “birra doppio malto” è tale se il grado Plato non è inferiore a 14,5 e se il titolo alcolometrico è superiore a 3,5% (Normattiva 2016; UB 2020: 132).

Inoltre, siccome la denominazione deve essere riportata su etichette e descrizioni, talvolta sono presenti anche traduzioni in altre lingue (beer double malt, bière double malt, Doppelmalzbier, e così via). Ciò genera un ulteriore fattore di confusione: l’assonanza con le celebri birre belghe Dubbel o Double, che, contrariamente alla “birra doppio malto”, rappresentano uno stile definito e codificato dal Beer Judge Certification Program, l’associazione statunitense che si occupa di sistematizzare le competenze in materia di degustazione e valutazione. Secondo le linee guida del BJCP, le Dubbel si caratterizzano per un colore da ambrato a ramato intenso, un aroma maltato e un corpo medio, e un tenore alcolico compreso fra 6 e 7,6% (BJCP 2021: 53-54). Invece, se nel panorama angloamericano l’aggettivo double che accompagna lo stile IPA (BJCP 2021: 43) si riferisce effettivamente ad una versione più luppolata delle “classiche” India Pale Ale, in Spagna cerveza doble malta non trova un preciso contesto di applicazione e gli stessi birrifici non concordano sulla sua definizione (La Barra de Birra 2017).

Pertanto, sebbene “birra doppio malto” nasca in Italia come termine giuridico, una volta entrato nel linguaggio comune e pubblicitario, è passato a denominare, nell’immaginario collettivo, uno stile birrario che non esiste, con caratteristiche conferitegli da idee preconcette. Sta a esperte/i dei settori che ruotano attorno all’ambito brassicolo, ma anche a non professioniste/i appassionate/i, fare informazione affinché non si diffondano terminologie e, per estensione, conoscenze errate.

*Dottorato in Eurolinguaggi e Terminologie Specialistiche – Università degli Studi di
Napoli “Parthenope”

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