Internet e la ferocia della rete
(Samuele Ciambriello) – La rete è una piattaforma di distribuzione del sapere o una nuova forma di sfruttamento? Internet è una risorsa o una dipendenza? La nostra era è stata definita l’era dell’informazione, un’era in cui gran parte della popolazione è dedita a raccogliere, elaborare, vendere informazioni o a favorire servizi ai singoli o alle imprese. Protagonista della rivoluzione informatica è Internet, Rete digitale. L’affermazione di Internet, sia per la rapidità sia per la pervasività negli usi e nelle abitudini di milioni di esseri umani è sorprendente. Internet mette in campo nuove figure di una socialità esuberante e poliforma che sostituisce agli ideali della “Ragione” i sentimenti, le emozioni, alla logica dell’identità, la logica dell’affetto.
L’uomo massa si frantuma in infinite tribù, il branco si scompone in tanti modi di esserci e quindi in tanti modi di apparire. Secondo questo taglio prospettico è possibile riflettere ed interpretare le relazioni in rete, come un continuum tra l’ideale ed il virtuale; i cui utenti rappresentano se stessi più che cercare relazioni e desiderano il coinvolgimento di sé piuttosto che la conoscenza dell’altro. Nei social network, in pratica, trova gratificazione quel bisogno esistenziale di emancipazione attraverso le naturali aspirazioni di integrazione e di crescita sociale, che è proprio della dinamica dei gruppi dei giovanissimi, che sono poi i “nativi digitali”. In molti casi i social network potrebbero creare quello che già McLuan chiamava a proposito dei media di massa “effetto narcosi” e, rifacendosi al mito di Narciso sentenziava: ”Narciso come narcosi”, cioè il rimanere prigionieri dello schermo. Fatti di cronaca, con cadenza puntuale ci evidenziano le nostre armi spuntate contro la ferocia della rete. Si può morire di vergogna, suicidarsi con un foulard, oggetto femminile, delicato?
Si può invocare l’oblio sui social che violano la tua vita privata? Secondo il giudice che ha curato la denuncia di Tiziana, non si può invocare il diritto all’oblio: “Non si ritiene, scrive, che rispetto al fatto pubblicato sia decorso quel notevole lasso di tempo che fa venir meno l’interesse della collettività”.
Il giudice aveva accolto solo parzialmente il ricorso di Tiziana e le aveva dato ragione contro Facebook e due testate giornalistiche online, ordinando la cancellazione dei contenuti lesivi della reputazione della ragazza e torto con riferimento a Google, Yahoo Italia e Youtube e l’aveva condannata a pagare circa 20mila euro complessive di spese legali a favore delle parti contro le quali il ricorso era stato respinto.
Induzione al suicidio? Cercate anche da questi parti i colpevoli. Senza criminalizzare solo il web che è un luogo strano, che porta alla gogna e può portare alla distruzione dell’identità e delle relazioni valoriali.
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