Luigi Gonzaga, il santo morto di peste a 22 anni per dare aiuto
– Discendente da famiglia nobile, i Gonzaga di Mantova, Luigi, nato nel 1568, era destinato alla carriera militare, ma nel corso della sua breve esistenza qualcosa cambiò, così tanto da diventare, dopo la morte, prima beato e poi santo. Suo padre Ferrante, marchese di Castiglione delle Stiviere, giovinetto lo condusse a Firenze e successivamente a Madrid per garantirgli un’educazione pari al suo rango.
Luigi, intanto, intorno ai 10 anni, dopo aver ricevuto la Prima Comunione da Carlo Borromeo, il santo di “manzoniana” memoria, aveva già voto di castità e aveva iniziato a condurre una vita fatta di penitenze e digiuni. All’età di 14 anni rinunciò definitivamente a qualsiasi eredità familiare per poter entrare nella Compagnia di Gesù a Roma, tra gli ordini controriformati più importanti e potenti del tempo.
Il suo noviziato cominciò nel 1585, mentre due anni dopo prese i voti. Suo maestro fu Roberto Bellarmino, arcivescovo di Capua dal 1602 al 1605, che gli fece da guida nella cura dello spirito e dei poveri. Nel 1590, quando Roma venne colpita da una violenta epidemia di peste, San Luigi si attivò per prestare soccorso a tutti i malati ricoverati nei vari ospedali della città. La carità offerta gli costò, però, la vita. Difatti, venne contagiato e il 21 giugno, suo dies natalis, morì.
Nel 1605, venne beatificato da papa Paolo V, mentre la sua canonizzazione giunse nel 1726 per volere di Benedetto XIII. Non solo opere di spirito e di pietà condusse San Luigi. Oltre la preghiera, intensa fu la sua attività di studio, dedicandosi alle lettere, alle scienze e alla filosofia. In virtù di questa sua singolare propensione verso la conoscenza è stato, poi, dichiarato protettore degli studenti ed è, inoltre, particolarmente invocato dai maturandi impegnati negli esami conclusivi del loro percorso scolastico superiore.
Per quanto sia diffuso il suo nome, di origine “franca”, che significa “famoso nella battaglia”, poco presente è il suo culto in area meridionale, ma, nonostante ciò, in passato è stato annoverato dai Borbone nella schiera dei santi Patroni del Regno delle Due Sicilie. Suoi attribuiti iconografici sono il giglio, il teschio, il crocifisso e il flagello. Generalmente è raffigurato in estasi davanti alla Croce o mentre riceve l’eucarestia da San Carlo Borromeo.
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