Michele Serra sull’amaca, tanti i giovani al Teatro Comunale
– “L’amaca di domani” è il monologo che il giornalista, umorista e autore Michele Serra ha portato in scena al Teatro Comunale Costantino Parravano a Caserta venerdì 10 dicembre. Un racconto ironico e sentimentale in cui protagoniste sono le parole. «Ho scritto per 29 anni filati ogni giorno un breve articolo di giornale del genere chiamato corsivo, un articolo breve che esprime il punto di vista di chi lo scrive, esprime un’opinione, dunque, a conti fatti io ho avuto circa 9.000 opinioni». Racconta Michele Serra ironizzando sul suo mestiere di artigiano della scrittura. Come nasce lo spettacolo? «Nasce da una lunga esperienza di letture in pubblico. Un paio d’anni fa mi è venuta voglia di fare un piccolo salto di qualità. Passare dalla pura lettura di un testo in pubblico a un poco di drammaturgia, con una regia, una scenografia, e un monologo scritto apposta per il teatro». Come le è sembrato il pubblico casertano durante lo spettacolo? «Mi è sembrato vivace, reattivo. Come dice chi fa teatro da molto tempo, ogni pubblico è diverso, ogni serata differente. Ed è vero. Ci sono battute che in un teatro cadono nel vuoto, in un altro scatenano risate. A Caserta è stato bello, il pubblico rispondeva e quando il pubblico risponde è molto meno faticoso stare sulla scena». Il suo spettacolo è stato pensato per uno spettatore ideale? Se sì quale? «Non credo che esista uno spettatore ideale. Ogni pubblico è una somma di persone differenti, il bello del pubblico è che la sua composizione stessa lo rende, ogni sera, un’incognita. Dunque, non avrebbe senso scrivere avendo in mente uno spettatore ideale, perché uno spettatore ideale non esiste». A Caserta in platea c’erano molti giovani, lo spettacolo è stato pensato anche per un pubblico giovane? Che riscontro ha avuto il suo racconto sui ragazzi? «Mi dà molto sollievo vedere dei ragazzi in sala, per il semplice fatto che ragazzo non sono, e ho sempre paura di parlare di cose troppo “generazionali”, troppo legate alla mia esperienza. Ma ho notato che anche se qualche riferimento storico sfugge, i ragazzi capiscono di che cosa sto parlando, quali sono le mie intenzioni. È bello, ci si sente meno soli». Non è facile parlare ad un pubblico così vasto, soprattutto se il racconto deve essere ironico e sentimentale. Che sensazione si prova a stare sul palcoscenico? «Di inadeguatezza, sempre. Il palcoscenico fa paura, soprattutto a uno come me, che non sono un attore. E dunque c’è sempre un poco di ansia, quando si alza il sipario. Ma passa in un attimo, appena cominci a parlare tutto si assesta e tutto prende forma. Il teatro è un miracolo». La tappa casertana ha avuto un significato particolare? «Beh sì, sono stato contento perché Caserta è la città della mia agente, Arianna Tronco, che è anche produttrice di questo spettacolo. Credo che Arianna fosse più emozionata di me, portandomi sul palcoscenico della sua città».
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