Nabbo, una parola dal web tra integrazione e giochi di ruolo
-Gli anni ’80 del secolo scorso costituirono il periodo d’oro dei Giochi di Ruolo (GdR):
Dungeons and Dragons era stato ideato negli anni ‘70 da Gary Gygax e Dave Arneson, ma
in America fu molto osteggiato da organizzazioni religiose e gruppi di genitori che
ritenevano fosse in grado di plagiare le giovani menti e iniziarle al satanismo. Fu questo il
caso dell’attivista Patricia Pulling, fondatrice di BADD (Bothered About Dungeons and
Dragons), che incolpò apertamente il ben noto GdR per la scomparsa del figlio, morto
suicida. Inoltre, la donna scrisse un libro dal titolo The Devil’s Web: Who is Stalking Your
Children for Satan?, che incentivò l’onda del “Satanic Panic” che stava ormai assumendo le
fattezze di una vera e propria crociata contro la cultura giovanile del periodo.
Questa paranoia collettiva era forse una recrudescenza del terrore che si era sviluppato decenni
prima intorno ai cruenti omicidi perpetrati dalla Manson’s Family nel 1969, alla
fondazione della chiesa di Satana a San Francisco nel 1966 e alla produzione di film
come Rosemary’s Baby (1968) e L’Esorcista (1973), oltre alla diffusione dell’Hard Rock e
dell’Heavy Metal. Nel film Detroit Rock City (1999), l’isteria di massa dell’epoca è
sapientemente incarnata dal personaggio di Mrs. Bruce, madre del giovane Geremia.
Dunque, il mondo dei role-playing games, videogiochi inclusi, che consente ai partecipanti
di assumere identità diverse in spazi di gioco immaginari, è stato spesso ed è ancora
tacciato di essere fattore scatenante di disturbi dissociativi che possono compromettere
seriamente il benessere psico-fisico dell’individuo. Di frequente si è sottolineata, inoltre,
la presenza di dinamiche discriminatorie negli spazi ludici virtuali, esplicitata attraverso
l’utilizzo di determinate strategie lessicali da parte degli utenti. Ad esempio, la parola
“nabbo” o “niubbo”, utilizzata in maniera perlopiù scherzosa nel gergo dei GdR online,
è stata impiegata in un motivetto, ormai divenuto un vero e proprio tormentone,
composto dal giovane gamer di Fortnite, Iseddya. Si tratta della trasposizione italiana del
termine inglese “newbie” – con cui si fa comunemente riferimento a un principiante –
farcita di una connotazione derisoria di cui quest’ultimo sembrerebbe mancare. Infatti, il
derivato “noob”’, storpiato e italianizzato in “nabbo”, metterebbe in luce il disinteresse o
l’incapacità del novellino a migliorarsi e la facilità con cui questi verrebbe, di
conseguenza, scovato ed eventualmente annientato nel campo di gioco: Bro easy ti clappo
(“Nabbo canzone Fortnite” YouTube, caricato da Iseddya, 18 giugno 2020). Nonostante
Iseddya sottolinei, sul suo canale YouTube, la natura ironica del video, “nabbo” vienetalvolta utilizzato come una specie di insulto nei confronti di chi si rifiuta di ascoltarecoloro che hanno più esperienza nel gioco. Tuttavia, “l’uso di una variante rispetto a un’altra non veicola una connotazione più o meno positiva; è chiaramente l’uso degli utenti a definire di volta in volta una valenza neutra, scherzosa o negativa” ( Francalanci in Treccani 2018 ). C’è anche una cospicua fetta del web che promuove un uso più
giocoso e fortemente inclusivo del neologismo in questione: Nabbi.it (2020) è un sito
web che intende “dare a sempre più persone legate dalla passione per il videogaming in
ogni sua forma, uno spazio nel quale sentirsi integrati”. I creatori sembrano rimarcare il
valore educativo dei giochi di ruolo e quanto questi possano aiutare a sviluppare la
capacità di ascolto e integrazione soprattutto tra i più giovani.
La rappresentazione di sé è sicuramente determinata dall’altro e da ciò nasce l’urgenza
non solo di educare le giovani menti a una prospettiva didattica e consapevole del gioco,
ma anche di invogliare gli adulti a riconoscere i molteplici vantaggi di una simile
esperienza ludica. Attraverso la rappresentazione di una realtà immaginaria, l’individuo
può, infatti, sviluppare una particolare empatia e imparare a risolvere conflitti e criticità
in maniera costruttiva e dialogica, rafforzando la propria autostima.
*Dottorato in Studi linguistici, terminologici e interculturali – Università degli Studi di Napoli “Parthenope”
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