Napoli. Le mille luci di New York in mostra a Palazzo Zevallos
– La terra partenopea è stata da sempre una musa ispiratrice per pittori, poeti, romanzieri, musicisti. Ogni personalità di spessore del panorama artistico, ogni volta che respirava, anche se per poco, l’aria partenopea, rimaneva folgorato, innamorato, ispirato. In molti, dinanzi a una città come Napoli, si sono fermati, immortalando, prima con i sensi, poi con il proprio strumento d’arte, la bellezza di un momento. Se c’è qualcosa su cui non si può discutere, su cui il dubbio non è ammesso, è l’innamoramento provato da ogni artista straniero che ha calcato la terra all’ombra del Vesuvio.
Le mille luci di New York è sì il titolo della mostra che ha aperto i battenti a Palazzo Zevallos Stigliano in via Toledo il 15 settembre scorso (e sarà lì fino al 5 novembre), ma può anche essere interpretato come il titolo di un dialogo a distanza tra due realtà, quella d’oltreoceano e quella campana. Gli anni ottanta, periodo florido a livello artistico, rappresentano il nucleo della mostra per nomi storici, pilastri dell’arte, quali Andy Warhol, Keith Haring, Jean-Michel Basquiat, Julian Schnabel e Francesco Clemente. Le mille luci di New York, che riprende il titolo del romanzo “Bright Lights, Bright City” di Jay McInerney (pubblicato nel 1984), è a cura di Luca Beatrice e presenta sedici opere, di provenienza privata, del Museo Madre di Napoli e della collezione di Intesa Sanpaolo, che portano la firma dei cinque grandi artisti citati. Si è aperto così un canale temporale tra presente e passato, grazie al quale riaffiora il grande movimento artistico di quel tempo. Da Andy Warhol, con il suo “periodo italiano” (di cui fanno parte la celebre serie “Vesuvius” e quel “Fate presto” legato al terremoto in Irpinia nel 1980 e che non smetterà mai di colpire nel profondo dell’animo) a Keith Haring, con la Street Art metropolitana; da Jean-Michel Basquiat, che con la sua arte è riuscito a conciliare il graffitismo e una pittura più colta, rivolta all’Espressionismo, a Picasso e all’Art Brut, al newyorkese Julian Schnabel, con il suo immaginario ironico e trasversale, sapendo coniugare l’arte e il nuovo mestiere di regista di cinema. Infine, Francesco Clemente, l’unico ad aver fatto il percorso inverso, dall’Italia agli Stati Uniti, che utilizzava un linguaggio artistico grazie al quale le sue immagini del sud Italia erano realizzate con uno stile internazionale che puntava a Oriente. Ciò che lega tutti questi straordinari artisti, ciò che fa da base all’intera esposizione, è il legame tra Napoli e New York, fatte di luci e ombre e proprio per questo continue fonti di ispirazione.
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