Pittore di corte e di cortile, Domenico Mondo irride i Borbone
– Il poeta di corte a niun simile, Sire, il giudizio vostro ha scelto bene ma se ancor vi piacesser varie scene, resti pur quel di corte, io di cortile. Si chiudeva con questi versi autografi la breve, ma intesa, esperienza di pittore alla corte dei Borbone di Napoli di Domenico Mondo.
Originario di Capodrise, dove ancora è possibile ammirarne lo splendido palazzo di famiglia, era stato, da giovane, allievo del Solimena; maturo e già noto per gli innumerevoli incarichi ricevuti da svariati committenti, Mondo venne individuato da Luigi Vanvitelli fra gli artisti da coinvolgere nel cantiere della reggia casertana, i cui lavori erano cominciati nel 1752.
Dell’operato di Mondo, però, l’architetto non riuscì a veder nulla, in quanto morì prima della realizzazione del suo unico affresco destinato agli appartamenti reali. Al riguardo, trattasi di una straordinaria opera pittorica ancora oggi visibile nella prima anticamera della Reggia, il cui titolo è di per sé enormemente significativo: Le Armi di Casa Borbone sostenute dalla Virtù.
Dall’esecuzione di questo dipinto, il maestro capodrisano riscosse un notevole successo, tanto che il sovrano del tempo, Ferdinando IV, gli affidò l’incarico di condirettore, insieme al tedesco Tischbein, della Real Accademia di Belle Arti di Napoli. Seguirono a quest’importante delega numerose committenze da parte di principi ed ecclesiastici di alto rango, ma, nonostante tutto ciò, Mondo non assunse mai il ruolo di primo pittore di corte.
Dai tempi della sua amicizia con Vanvitelli alla reggenza di Ferdinando e Carolina, di mutamenti culturali e artistici ve ne erano stati, anche in maniera copiosa, e per un autore come lui, ancora legato a istanze stilistiche tardo-barocche, sembrava non esserci più spazio in seno alle moderne richieste borboniche.
Dalle prime scoperte di Ercolano e Pompei, all’affermazione delle istanze illuministiche, i reali di Napoli iniziavano a essere interessati a un nuovo modo di far pittura, magari più realistica e maggiormente attenta alla definizione dei dettagli. Pertanto, come primo maestro di corte, venne preferito il vedutista prussiano Jacob Philipp Hackert.
I rancori di Mondo che ne seguirono sembravano ormai interminabili e le sue invettive cominciarono a colpire tutti i personaggi che gravitavano attorno alla famiglia reale, dal ministro Tanucci a Carlo Vanvitelli, figlio di Luigi. Versatile anche nell’arte del poetar satirico, l’autore riservò a questi ultimi i seguenti versi: aspettar per quattro anni la riserba di un affar che non ha capo ne’ coda, trattar con un fiscal fatto alla moda e con un architetto ancor in erba, stare a disagio in vita amara e acerba colla speranza sol di aver la broda mentre si d’ ai coglion la carne soda e tal gente veder gonfia e superba.
Ai mancati riconoscimenti da parte dei sovrani partenopei seguirono anche le difficoltà economiche, ma dopo qualche tempo l’attività pittorica di Mondo si riprese ottenendo non pochi consensi di pubblico e di critica. Ormai ottuagenario, Domenico Mondo morì a Napoli, nel 1806, in un momento storico di grandi cambiamenti politici e culturali promossi da quei “francesi” che, da qualche anno, avevano spodestato i Borbone, da lui già tanto amaramente detestati.
Docente di italiano e storia presso gli Istituti Superiori di Secondo Grado, già storico e critico d’arte e guida turistica regione Campania. Giornalista pubblicista e autore di diversi volumi, saggi ed articoli dedicati ai beni culturali, alla storia del territorio campano e alle arti contemporanee. Affascinato dal bello e dal singolare estetico, poiché è dal particolare che si comprende la grandezza di un’opera d’arte.
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