Presepi multietnici e miracoli, il Bambin Gesù parlò al moro
– Nei tradizionali presepi napoletani, da quelli della Certosa di San Martino alla raccolta della Reggia di Caserta, notevole è il numero dei mori introdotti nelle loro tipologie di allestimento, così come frequente è la loro disposizione rivolta verso la grotta del Bambin Gesù. Dal punto di vista scenografico, la loro presenza è la testimonianza della loro reale esistenza nel regno: dal loro arrivo nel porto di Napoli, al loro impiego come schiavi presso le residenze dei nobili della capitale e delle province. Al di là di quest’aspetto, insisteva nella logica concettuale del presepe, sei-settecentesco, un’altra motivazione che giustificava la loro partecipazione alla nascita del Bambino, la cui valenza fondava le radici in una leggenda coeva. La narrazione riportava che la principessa di Bisignano [forse Isabella della Rovere] possedeva un simulacro del Bambino Gesù, la cui custodia aveva affidata a un servitore moro; questi, nonostante le frequenti sollecitazioni della nobildonna, si ostinava a non convertirsi al cristianesimo e ogni qualvolta che gli veniva proposto tal intento lui soleva rispondere nel seguente modo: quando a me Bambin parlare, me allor cristiano fare. Un giorno, poi, avvenne il miracolo; la principessa se lo vide correr incontro gridando: me voler cristiano fare e voler Giuseppe chiamare. Il Bambino gli aveva parlato, dicendogli: Giuseppe, cristiano fare.
Chiaramente, questa storia aveva anche un’altra funzione, cioè serviva a dimostrare quanto potente e giusta fosse la religione cristiana, tanto da far convertire un “moro”, considerato, a tutti gli effetti, un musulmano.
La fortuna di questa leggenda venne sostenuta anche attraverso una sua originale interpretazione cantata, la cui stesura musicale era stata realizzata da Cristofaro Caresana. Nato a Venezia, Caresana era organista e compositore. Appena diciannovenne giunse a Napoli, dove entrò a far parte della Compagnia dei Febi Armonici con cui mise in scena le sue prime composizioni melodrammatiche. Verso la fine degli anni Sessanta del Seicento, assunse l’incarico di cantore e organista della Cappella Reale; dopo qualche tempo, divenne anche direttore del Conservatorio di Sant’Onofrio a Porta Capuana a Napoli, un orfanotrofio con annessa scuola di musica. La notorietà acquisita nel corso dei concerti svolti gli consentì di ricevere pure il prestigioso mandato di Maestro del Tesoro di San Gennaro. Fino all’anno della morte, avvenuta nel 1709, continuò a comporre brani e a suonare per diverse istituzioni partenopee; particolare fu la sua produzione di cantate per il Natale, pezzi che, ancora oggi, vengono interpretati, in quanto sono considerati rappresentativi della musica barocca napoletana.
Luigi Fusco – Docente di italiano e storia presso gli Istituti Superiori di Secondo Grado, già storico e critico d’arte e guida turistica regione Campania. Giornalista pubblicista e autore di diversi volumi, saggi ed articoli dedicati ai beni culturali, alla storia del territorio campano e alle arti contemporanee. Affascinato dal bello e dal singolare estetico, poiché è dal particolare che si comprende la grandezza di un’opera d’arte.
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