Santa Lucia, culti e rituali anche a Caserta per riveder la luce
– A Santa Lucia ‘a jurnata fa ‘nu passo ‘i gallina, è l’antico detto che, oltre a rievocare il dies natalis della santa siracusana, è considerato, secondo la tradizione, il giorno più corto dell’anno. Il culto e il nome di Lucia sono popolari in tutto il Mezzogiorno e il suo martirio è, da sempre, considerato tra le massime espressioni simboliche del sacro femminino. Scarne sono le notizie riguardo la sua vita, per lo più ricavate da due Passiones, cioè cronache dedicate alla sua morte, i cui tratti descrittivi sconfinano, spesso, nel leggendario. Nativa, appunto, di Siracusa, Lucia apparteneva a una nobile famiglia locale; ammalatasi la madre, si recò a Catania per pregare sulla tomba di Sant’Agata; addormentatasi, quest’ultima le apparve in sonno annunciandole che da quel momento avrebbe acquisito il potere di compiere miracoli. Dopo questo prodigioso evento, Lucia decise di mantenere la propria verginità e di dedicarsi completamente a Dio; vendette i suoi beni, regalò la sua dote e dal ricavato donò tutto ai poveri. Mancando, però, all’impegno preso dai suoi familiari di contrarre matrimonio venne denunciata come cristiana dal suo promesso sposo a Pascasio, già governatore di Siracusa. Dopo essere sopravvissuta a diverse forme di tortura, venne decapitata il 13 di dicembre dell’anno 310 dC. Da quel giorno la sua ricorrenza, che cade in concomitanza del periodo solstiziale, è stata associata alla luce e alla vista, di cui la stessa Lucia è santa protettrice. D’altronde, il suo nome deriva dalla parola latina lux. Sono questi gli elementi etimologici che, nel corso del tempo, hanno contribuito a definire l’impianto iconografico della santa, che, per la maggiore, appare raffigurata con in mano un piatto contenente i suoi occhi e con una lampada che allude alla sua virtù profetica.
Anche a Caserta, nel XVI secolo, si diffuse il culto di Santa Lucia, grazie alle sollecitudini spirituali e alle preghiere promosse dagli Acquaviva d’Aragona. Furono quest’ultimi, difatti, a far costruire il convento, a lei dedicato, ancora oggi visibile sulla collina sovrastante la frazione di Centurano. Trattasi di un complesso monastico, in origine affidato ai frati cappuccini, che, nel corso dei secoli, ha subito diverse trasformazioni, di cui si ricordano, soprattutto, quelle fatte adottare dai Borbone, le cui tracce ornamentali e documentarie sono tuttora presenti al suo interno. Soppresso durante il decennio napoleonico, riformato con la restaurazione borbonica e nuovamente chiuso, nel 1866, con le leggi “eversive”, la fabbrica di Santa Lucia, dopo alterne vicende, è ritornata a nuova vita, mantenendo, inoltre, la sua primigenia centralità devozionale, che si manifesta, oltre il 13 dicembre, anche nella prima domenica di maggio, in occasione dei pellegrinaggi di migliaia di fedeli, i quali accorrono per ingraziarsi i miracoli della santa al fine di riveder la “luce”.
Luigi Fusco – Docente di italiano e storia presso gli Istituti Superiori di Secondo Grado, già storico e critico d’arte e guida turistica regione Campania. Giornalista pubblicista e autore di diversi volumi, saggi ed articoli dedicati ai beni culturali, alla storia del territorio campano e alle arti contemporanee. Affascinato dal bello e dal singolare estetico, poiché è dal particolare che si comprende la grandezza di un’opera d’arte
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