Sant’Antonio abate. Riti e celebrazioni in suo onore

Sant’Antonio abate. Riti e celebrazioni in suo onore

Luigi Fusco -Il 17 gennaio, come da tradizione, ricorre la celebrazione di Sant’Antonio abate, a cui è legato il rito del secolare “fuoco purificatore”. Il culto di questo santo è diffuso quasi in tutta la Campania. Nell’area vesuviana, ad esempio, la devozione al “santo con il porcellino” è particolarmente sentita, ed in occasione della sua festività vengono organizzati enormi roghi di ceppi, ma anche altri eventi legati alla musica popolare e alla preparazione di piatti tipici.
Anche in Terra di Lavoro, soprattutto in alcune località che hanno mantenuto la propria dimensione rurale, si son conservati i rituali e le varie consuetudini in favore di Sant’Antonio, chiamato, in forma dialettale, Sant’Antuono.
L’attestazione di una venerazione così forte in diversi territori campani, rende la sua figura alquanto
interessante, sia per quanto concerne gli studi prettamente teologici sia per quanto riguarda la sua
vocazione squisitamente antropologica.
La prima agiografia di Sant’Antonio abate venne scritta, nel IV secolo d.C., da Sant’Atanasio, vescovo
d’Egitto. Il santo abate era nato a Coma, cittadina egiziana, nel 251. Compiuto il ventunesimo anno di età
vendette tutti i suoi averi per condurre una vita da asceta. Successivamente decise di proseguire la propria esistenza isolandosi dal “mondo” e divenendo un vero e proprio eremita. Si ritirò così nella regione di Pispir, lottando, con un certo fervore e senza interruzioni, contro le innumerevoli “tentazioni” avanzate dal demonio.
Di tanto in tanto Sant’Antonio si “distraeva” dalla preghiera per dedicarsi alla coltivazione di orti e
intrecciando stuoie. Nel 311, si recò ad Alessandria per sostenere i cristiani perseguitati da Massimino Daia e vi tornò soltanto nel 355 per oppugnare la dottrina dell’arianesimo. Ancora in vita, Antonio era
considerato già santo dai suoi contemporanei ed era, inoltre, in grado di effettuare miracoli. Queste sue
capacità gli consentirono, poi, di convertire molti pagani al cristianesimo. Morì ultracentenario nel 356.
L’iconografia di Sant’Antonio cominciò a diffondersi sin dall’età alto medioevale.
Da secoli lo si conosce attraverso l’abito da eremita e il bastone a forma di τ a cui è sospesa una
campanella. Affianco a lui c’è sempre il maiale (la cui presenza ha origini medioevali e fa capo alle
superstizioni occidentali), mentre ai suoi piedi compare spesso il diavolo, simbolo del male che viene
sconfitto dal bene. Nel Quattrocento invece si sviluppò l’iconografia delle “tentazioni” di Sant’Antonio. Tale soggetto ebbe poi particolare fortuna nei paesi del nord Europa. Meno nota è invece la rappresentazione dell’incontro tra Sant’Antonio e Paolo l’eremita, di cui si conserva un affresco dipinto sulla facciata della Basilica di Sant’Angelo in Formis presso Capua.
Il venerabile abate è ritenuto dalla chiesa, così come dalla cultura popolare, il protettore dei macellai,
salumieri, canestrai e degli animali domestici. Egli è invocato contro l’herpes zoster, ovvero il cosiddetto
“fuoco di Sant’Antonio”; e sin dall’età medioevale è considerato “padre dei monaci”, nonché una delle più
rilevanti figura dell’ascetismo cristiano antico.
Come già scritto nell’introduzione del presente contributo, il culto campano di questo santo è
notevolmente legato al rito dei falò, comunemente conosciuti come “cipp e’ Sant’Antuono”.
Le potenzialità del fuoco riecheggiano le capacità divinatorie di Antonio, alle cataste di legna, di grande
portata, che ardono per tutta la serata, si rimandano invece i riti purificatori.
Durante tale funzione, l’intera comunità, di un qualsiasi paese, si incontra attorno alla pira per bruciare ogni
forza sfavorevole. Già Augusto Ferraiuolo, al riguardo, scrisse che nel carattere distruttivo del fuoco di
“Sant’Antuono” “[…] tutto viene annullato grazie ad esso. Non a caso, al termine del falò, i partecipanti al
rito rientravano a casa e con un po’ di cenere o con tizzoni spenti [estinguono il male]” (A. Ferraiuolo, “Note

sulla cultura folklorica a Casertavecchia”, in “Civitas Casertana”, rivista a cura del Laboratorio di Ricerche
Sociali e dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Caserta, Caserta, s.a., s.p.).
Per quanto riguarda il circondario casertano tale tradizione è ancora presente in alcune frazioni, come a
Casolla, dove gli abitanti celebrano l’evento davanti ad un’antica cappella nobiliare dedicata per l’appunto a
Sant’Antonio. Essa venne fondata, intorno agli trenta del XIV secolo, dalla famiglia de’ Landi e venne
consacrata, nel 1331, dal vescovo Benvenuto. Nel 1752, la cappella venne restaurata ed ampliata e i vari
interventi vennero ricordati nell’epigrafe custodita al suo interno. Su questa lapide è riportata la seguente
iscrizione: ECCLESIAM HANC DIVO ANTONIO ABB. / ANNO DNI 1331/ CONSACRATA DE JUREPATRONATUS
FAMILIAE/DE LANDIS POSTREMO TEMPORE/ IMBRIUM ALLOENTIIS QUASI CONFOSSAM/ PETRUS DE
LANDIS BENEFICIATUS ET PATRONUM/ HAC NOVA MOLITIONE/ RESTITUIT ANNO DNI MDCCLII.
Anche in altre zone della provincia casertana si tengono i cosiddetti “falò” anticipati dalle processioni del
santo e dalle benedizioni degli animali. La festa per eccellenza in onore di Sant’Antuono si svolge però a
Macerata Campania. Oltre ad essere l’evento più atteso dell’anno, in cui si consumano tutti i rituali sopra
descritti, grande attenzione c’è per l’esecuzione dei “bottari”, giovani musicisti che sistemati su carri
addobbati portano avanti la tradizione della musica prodotta attraverso il suono di botti, tini e seghe.
Trattasi di una vera e propria kermesse che, da anni, attrae migliaia di persone provenienti da ogni parte
della provincia e non solo. Alla musica, ovviamente, non manca il buon vino a la singolare “pasta a’ lessa”,
cioè cucinata con le castagne e un po’ di peperoncino.

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Luigi Fusco
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Luigi Fusco - Docente di italiano e storia presso gli Istituti Superiori di Secondo Grado, già storico e critico d’arte e guida turistica regione Campania. Giornalista pubblicista e autore di diversi volumi, saggi ed articoli dedicati ai beni culturali, alla storia del territorio campano e alle arti contemporanee. Affascinato dal bello e dal singolare estetico, poiché è dal particolare che si comprende la grandezza di un’opera d’arte.

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