Theatrum Mundi di Ciro Ciliberti al Museo del Sottosuolo di Napoli
La fotografia è un’esperienza fisica, è un confrontarsi con il proprio corpo e con il soggetto ritratto, è la traccia di luce di un incontroscontro con la realtà attraverso l’inconscio tecnologico della fotocamera. Il fotografo deve liberarsi dei suoi pregiudizi per imparare a guardare, per imparare a confrontarsi con il reale. Avverto il coraggio di Ciliberti di porsi sull’abisso del tempo, dove gli istanti rivelano profonde verità che i soggetti vivono sulla superficie di sé. Il suo sguardo sfida la banalità del vedere per incontrare frammenti di sincerità che la fotocamera registra. La memoria di macchina penetra nell’inconscio della vita, la velocità dell’otturatore registra istanti che l’occhio non percepisce, la visione di macchina diviene surreale o meglio “super reale”. Ciliberti, padroneggiando sapientemente la tecnica, si lascia trascinare dalla potenza espressiva dei soggetti, vive le tempeste emotive degli sguardi, si immerge in esse e ne raccoglie l’impronta. La sua fotografia non cerca la bellezza rassicurante: in ogni immagine vive una forte tensione emotiva, un interrogarsi, un disperdersi nel molteplice. La particolarità delle sue foto non nasce dalla ricerca dell’eccezionale, ma si nutre di una profonda umanità ed empatia con i soggetti, non c’è mai uno sguardo profanatore e il fotografo non cerca di rubare emozioni, si pone in ascolto e lascia che il soggetto gli doni intimi segreti. Una vita intera è raccontata nelle rughe di una donna anziana, la scommessa di un futuro nello sguardo di un bambino: egli vive lo stupore per la bellezza di una donna e la gioia del gioco dei bambini. Ogni foto è una spirale di emozioni che ci trascina nel suo mondo interiore.
Il suo lavoro si differenzia da quello dei maggiori reporter contemporanei, non cerca l’epica bellezza di Salgado o il disordine meditato di Pellegrin o di Zizola. La sua fotografia, credo, trovi delle affinità con la ricerca visiva di Koudelka, il cercare la forza degli sguardi ed abbandonarsi al caos del mondo. Il filo che lega le sue immagini non è logico, ma puramente emotivo, è un intrecciare emozioni provando a tessere una mappa interiore. Sono tutti indizi di un cercare sofferto, di un lanciarsi nel vortice della vita, sperando di scoprire nuove dimensioni. Montaigne ci ricorda che viaggiare è strofinare il proprio cervello con quello degli altri e questa relazione fisica e spirituale si percepisce in modo nitido in queste immagini. Tutti noi siamo gettati nel flusso della vita senza saperne la ragione, lottiamo, amiamo, ci confrontiamo con i nostri simili nelle gabbie dei ruoli e nella competizione per il successo, ma non comprendiamo mai fino in fondo il senso del nostro agire. Il viaggio di Ciliberti è una ricerca di senso: interrogando istanti infiniti, prova a tracciare le coordinate della propria interiorità, prova a sentire l’eco della propria anima, sapendo di trovare solo indizi, ma comprendendo che anche la più piccola emozione può essere la punta di un iceberg in cui immergersi per la ricerca di sé.
Concludo ancora citando dei versi di Walt Whitman che sempre più accompagnano i miei occhi nel guardare la sua ricerca visiva.
“Questo è il pasto equamente servito, questo è il cibo per la fame naturale, è per il giusto come per l’ingiusto, con tutti ho preso appuntamento, non tollero che nessuno sia trascurato o escluso…”.
Fonte: Comunicato stampa
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