To be spotted, fenomenologia dell’incontro al tempo dei social
Adriana Marinelli* -Rimanere in incognito al tempo dei social sembra essere diventato impossibile: l’affinamento dei potenti mezzi tecnologici ha semplificato quelle che per anni, per secoli sono state vere e proprie avventure, non sempre con esito felice. Se in passato rintracciare una persona che casualmente si incontrava per strada costituiva un’ardua impresa che solo i più temerari erano disposti ad affrontare, oggi attraverso i social con qualche riga e in pochissimo tempo è possibile ritrovare colui o colei che per caso e talvolta in una frazione di secondo ha stimolato la nostra curiosità. Alla lingua inglese il compito di descrivere questo fenomeno, alle nuove generazioni il compito di metterlo appunto e farne un’icona mondiale che ha permesso a tante relazioni di poter nascere e solidificarsi. È in ambito accademico dalla mente di un giovane londinese, Rich Martell, che nel 2010 nasce FitFinder: attraverso questa piattaforma si postavano messaggi anonimi finalizzati a rintracciare persone incontrate per caso che venivano per l’appunto “spottate”. Da questo momento in poi “to be spotted” diventa l’espressione idiomatica simbolo di questa nuova tendenza, ancora oggi rappresentativa di ogni contesto che vede protagonisti i giovani. La scelta precisa del verbo “to spot” contiene al suo interno la sfumatura semantica che caratterizza quello che non si riferisce al semplice atto del guardare: l’implicazione sottesa rimanda all’intensità con cui il nostro sguardo cattura qualcosa o qualcuno, e ciò è talmente forte da lasciar sedimentare una traccia dentro di noi. Traccia che poi si concretizza nelle parole affidate ai social nella speranza che queste possano arrivare a destinazione. Ogni università unitamente ai dovuti canali ufficiali ha una sua personale pagina “spotted”: basta inserire nel motore di ricerca “spotted” con la specifica geografica dell’ateneo, e subito sarà possibile visualizzare la pagina Facebook o Instagram dedicata. La versatilità caratterizzante questa moda si manifesta nella varietà di temi e messaggi che si possono leggere scrollando le varie pagine: accanto a dichiarazioni d’amore nella forma breve dei tweet moderni e richieste di amicizia, è possibile ritrovare ogni aspetto che concerne la vita accademica, dalle informazioni più generiche, ai consigli, a fun facts che accomunano studenti e studentesse. L’alto numero dei followers delle pagine di spotted disseminate su tutto il territorio è una chiara testimonianza della concezione comune dell’università come dimensione privilegiata delle relazioni con l’altro e dei legami umani, in un contesto di formazione che tuttavia non può prescindere dal contatto e dal confronto umano. La bellezza e la spontaneità della casualità si affidano ancora una volta a quella stessa sorte che aveva determinato l’incontro: attraverso uno spotted, con poche parole ma potenti e veloci, le nostre emozioni sono affidate alla speranza di poter ritrovare quella persona verso la quale si è diretto il nostro sguardo. Una frazione di secondo si è rivelata sufficiente per sancire (forse) l’inizio di un qualcosa che non è ancora stato scritto e destinato ad essere scoperto.
*Dottorato in Studi Linguistici, Terminologici e Interculturali – Università degli Studi di
Napoli “Parthenope”
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