Troll, quella parola tanto antica quanto attuale
Micol Forte – L’avvento dei new media e la diffusione dei servizi di social network hanno contribuito alla formazione di un vero e proprio gergo di Internet, una varietà linguistica specifica – spesso caratterizzata da necessità brachilogiche – che attualmente costituisce una fonte inesauribile di neologismi, i quali, dopo essersi radicati nell’uso grazie alla natura dinamica della Rete, vengono accolti nelle risorse lessicografiche. Almeno due ragioni vengono addotte quando ci si interroga sull’origine di tali neologismi: essi possono nascere infatti tanto dalla volontà di conferire maggiore espressività e originalità alla comunicazione, quanto dall’esigenza di denominare nuovi oggetti, nuove operazioni e nuove realtà. Questa seconda motivazione si trova alla base del termine troll, che, secondo il vocabolario Treccani, designa chi, nel gergo della Rete, “interviene all’interno di una comunità virtuale in modo provocatorio, offensivo o insensato, al solo scopo di disturbare le normali interazioni tra gli utenti”. In concreto, il troll è un commentatore che intralcia il regolare svolgimento di una discussione attraverso strategie quali – per citare le più ricorrenti – il flood, ovvero l’invio di una fitta sequenza di messaggi non inerenti all’argomento prestabilito, e il cross-posting, cioè la pubblicazione simultanea di uno stesso messaggio in comunità diverse al fine di infastidire un maggior numero di utenti.
Da una prospettiva prettamente linguistica, il termine troll sembra costituire un caso di risemantizzazione: infatti, l’accezione primaria del termine – risalente, secondo i dizionariSabatini Coletti e De Mauro, al 1934 – indica, nelle credenze popolari scandinave, un “abitante demoniaco e fiabesco di boschi, montagne, luoghi solitarî, immaginato ora in figura di gnomo ora di gigante, con lunga e disordinata capigliatura e un naso lunghissimo” (per tale definizione, rimandiamo ancora una volta al vocabolario Treccani). Il termine si configurerebbe pertanto come prestito dal norvegese e dallo svedese troll, prestito che, a sua volta, va confrontato con il danese trold e con l’antico norvegese trolldómr, ossia “stregoneria”. Secondo un’altra teoria, la parola troll, in quanto termine appartenente al lessico di Internet, deriverebbe in realtà dal verbo inglese to troll che rinvia all’atto di pescare a traina, ossia rimorchiando, dalla poppa di un’imbarcazione in lento movimento, una o più lenze innescate con esca naturale o artificiale al fine di indurre un pesce ad abboccare.
Da un punto di vista diacronico, le prime attestazioni di troll nel gergo della Rete sono reperibili nell’archivio Usenet e risalgono agli anni ottanta e novanta del XX secolo: all’epoca, tale termine rappresentava un epiteto scherzoso che veniva affibbiato a chi riproponeva argomenti ampiamente dibattuti in precedenza. Quindi, il termine troll ha posseduto, in principio, un’accezione ironica; tuttavia, nel corso del primo decennio del terzo millennio, esso ha cominciato ad assumere – come testimonia l’opera “XXI secolo” edita dalla redazione dell’Enciclopedia Italiana – un’accezione dispregiativa legata ad un atteggiamento mirato a fomentare “conflitti interpersonali e polemiche online”, conflitti che – per rimanere in tema di gergo delle comunità virtuali – prendono il nome di flame war.
Come molti altri termini della Rete, anche troll si è rivelato prolifico, generando due derivati: il verbo trollare – repertoriato in Garzanti con la marca di dominio Internet e con la definizione “in un newsgroup, un forum, una chat ecc., comportarsi da troll, partecipare soltanto per disturbare, creare confusione e provocare litigi” – e il sostantivo trolleggio, un nome d’azione che ad oggi non risulta ancora lemmatizzato in nessuno dei dizionari adottati.
Oltre l’accoglienza ricevuta dai termini troll e trollare nelle risorse lessicografiche, una prova dell’attualità delle nozioni da essi espresse è rappresentata dallo studio condotto nel 2014 da E. Buckels, P. Trapnell e D. Paulhus, presso l’Università del Manitoba (Canada), dal titolo “Trolls just want to have fun”: tale studio, che ha sottoposto 1.215 utenti di Internet a una serie di test, ha rivelato non soltanto che il 5,6% degli intervistati dichiara apertamente di agire da troll nelle comunità virtuali, ma anche che il comportamento di questi commentatori mostra i tratti tipici della dark tetrad: machiavellismo, narcisismo, psicopatia e sadismo. Queste dunque sarebbero le cause scatenanti dell’atteggiamento dei troll, cui va aggiunta la condizione di anonimato che contraddistingue la navigazione in Rete.
Micol Forte
Dottoranda di Ricerca in “Eurolinguaggi e terminologie specialistiche”
Università degli Studi di Napoli “Parthenope”
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