Un tesoro ad Aversa, il San Michele e la pesatura delle anime
– Tra le singolari opere d’arte e i pregevoli oggetti sacri della collezione del Museo Diocesano di Aversa, vi è un’interessante tavola, datata alla fine del Quattrocento, raffigurante San Michele arcangelo tra i santi Giovanni Battista e Giacomo di Compostella, sormontata nella parte superiore da una cimasa con la Madonna e il Bambino tra gli evangelisti Luca e Matteo.
Quest’opera, concordemente riconosciuta dalla critica all’ancor non ben identificato maestro Cristoforo Faffeo, si trovava, in origine, presso la Cappella dei “svtores”, cioè dei sarti, sita nella Cattedrale aversana, la cui sistemazione, con dedicazione all’arcangelo Michele, avvenne nel 1495, per, poi, essere ristrutturata nel 1716.
Il dipinto in oggetto è tra i più straordinari esempi di pittura napoletana di età rinascimentale, in cui sono evidenti sia stilemi di ascendenza iberico-fiamminga, definiti dalla raffinatezza ornamentale dell’armatura di San Michele e dal fondo dorato di derivazione tardo-gotica, sia da modelli umbro-romani, ravvisabili nella resa delle acconciature dei santi e della Vergine e nella dolcezza dei loro volti.
Questa pala è ciò che resta di un polittico di grandi dimensioni, smembrato in epoca ignota, ed il suo tema principale ruota attorno alla figura dell’arcangelo Michele, impegnato nella psicostasia, cioè nella pesatura delle anime. Il santo guerriero è rappresentato mentre sconfigge il demonio, aventi le forme di un drago, trafiggendolo con la lancia, e, allo stesso tempo, pesa e separa le “anime” giuste da quelle peccatrici.
Trattasi di un’iconografia molto antica, le cui radici sono da ricercare nel culto egizio di Osiride. Con il termine psicostasi si intendeva, infatti, il momento in cui l’anima del defunto, durante il cammino verso l’aldilà, si presentava al cospetto del dio egizio degli inferi per essere giudicata. Dal Libro dei Morti, si evince che al cerimoniale partecipava anche il dio sciacallo Anubi, addetto alla pesatura del cuore del deceduto controbilanciato dalla piuma Maat della giustizia.
Questo culto è sopravvissuto nei secoli, attestandosi tra il paganesimo dei romani e inserendosi poi, in maniera sincretica, in seno al cristianesimo. Appartengono, difatti, al XII secolo le prime rappresentazioni di San Michele, quale emanazione di Dio, impegnato nella pesatura delle anime ed in lotta contro il diavolo che con l’inganno cerca di accaparrarsene una.
Di questo tipo di raffigurazioni ne esistono pochi esemplari in tutta Italia, di cui tre ascrivibili al solo ambiente partenopeo.
La fortuna di questo soggetto la si deve agli aragonesi, regnanti nel mezzogiorno tra XV e XVI secolo, i primi a promuovere nella propria capitale elementi cultuali, culturali e figurativi provenienti da più parti, la cui affermazione contribuì a far divenire Napoli un importante centro rinascimentale posto lungo le rotte del Mediterraneo.
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