Una parola al mese: Hipster
(Valentina Scaletti) – Ne sentiamo sempre più parlare, non solo nel gergo giovanile con espressioni del tipo “quanto sei hipster!”, ma anche nell’ambito della moda, della musica e persino dell’arredamento. Ma cosa vuol dire? Contrariamente a quanto si possa pensare, non è un neologismo recente, ma nasce in America negli anni Trenta e Quaranta, e fonda le sue radici nel gergo del jazz. Tale termine designava, in genere, quei ragazzi bianchi di classe media che emulavano lo stile di vita dei jezzisti afroamericani, proponendo un modello anticonformista che poi si evolverà nello stile più confortevole e comunitario degli hippies.
L’ etimologia è controversa, potrebbe risalire da hop, diminutivo dell’oppio, o dal verbo africano hipi, che significa aprire gli occhi a qualcuno. Tuttavia, sembra più calzante la teoria per cui il termine sia formato da hip ‘aggiornato, all’ultima moda, moderno’ con il suffisso –ster che in inglese indica l’agente, chi fa qualcosa. Quindi il significato nell’insieme diventa ‘chi si tiene aggiornato, all’ultima moda, chi segue la moda, tipo di ‘giovane anticonformista, caratterizzato da un particolare look fatto di capi d’abbigliamento della moda della seconda metà del Novecento con alcuni tratti di novità. E’ questa l’accezione con cui, recentemente è stato ripreso il termine.
Come afferma La Crusca, nei dizionari italiani di neologismi, la parola è già attestata dal 1987 e nel 1988 è stata inserita nella trattazione del termine Beat in un articolo su “Lingua Nostra” (n. 49) come uno dei nomi dati a un membro della beat generation (esponente di spicco del movimento è Jack Kerouac con il suo romanzo Sulla strada del 1957, assunto a manifesto della beat generation che ha contribuito ad associare al termine beat i significati sia di ‘beato’ sia di ‘abbattuto’ e ‘vinto’, già in circolazione nel parlato colloquiale giovanile). Segnalato tra i neologismi nel 1987 da Claudio Quarantotto (nel Dizionario del nuovo italiano, Milano, Mondadori) con la seguente definizione: “È il ribelle, l’anticonformista, il capellone (o aspirante capellone), il beat, il bruciato, l’apocalittico degli anni ’50. È chi rifiuta l’integrazione nella società in cui vive”. Nel 1994 hipster è registrato in Parole senza frontiere. Dizionario delle parole straniere in uso nella lingua italiana (di Guido Mini, Bologna, Zanichelli) con la definizione di ‘oppositore violento del conformismo e del consumismo’. Attualmente, è presente soltanto nell’ultima edizione (2012) del Vocabolario Zingarelli che, oltre al significato originario, aggiunge la nuova accezione di ‘chi, in base a una cultura individualistica e insofferente delle regole, si rifà alla moda vintage della seconda metà del Novecento, in particolare ai suoi aspetti più trasandati e anticonformisti’
Oggi hipster è da considerarsi una vera e propria subcultura di cui fanno parte quei giovani disinteressasti alla politica, con velleità anticonformiste, caratterizzati da atteggiamenti stravaganti e un abbigliamento eccentrico. Il movimento spazia dalla letteratura al cibo, passando dalla musica al cinema. L’ hipster è un giovane seguace delle tendenze culturali emergenti (indie rock, elettronica, film d’autore, cibo bio, iphone…) che fa scelte attentamente costruite per dare l’idea che non lo siano e risultare, quindi, in controtendenza.
Tutti noi abbiamo incontrato almeno una volta, il tipico hipster: barba folta, baffi arrotolati, jeans skinny con il risvolto, cappello vintage, occhialoni da vista, giacca o cardigan striminziti; se pensiamo un attimo a quanti ne incontriamo ogni giorno, possiamo sicuramente affermare che assistiamo ad un hipsterismo dilagante!
*Valentina Scaletti – Dottorato di Ricerca in “Economia Quantitativa ed Eurolinguaggi per la sostenibilità del benessere”- Università degli Studi di Napoli “Partneope”
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