Una parola al mese. Stop all’alcol, nasce così il sober curious
– La società contemporanea sicuramente non è estranea all’idea di vedere nuove mode e tendenze diffondersi a macchia d’olio attraverso i principali social network, anche se a volte sono destinate ad affondare negli abissi dell’immenso oceano digitale con la stessa rapidità con cui sono apparse. Da qualche tempo numerosi profili twitter ed instagram sono popolati da post accompagnati dall’hashtag #sobercurious. Basta provare a digitare la parola sulla barra di ricerca di twitter per vedersi restituire centinaia di migliaia di risultati, ma forse non tutti sanno esattamente cosa si nasconde dietro a questa locuzione.
L’espressione sober curious è stata coniata dalla scrittrice britannica Ruby Warrington ed è apparsa per la prima volta nel 2018, anno di pubblicazione del libro dall’omonimo titolo. Utilizzando il punto di vista della scrittrice, essere sober curious significa mettere in discussione ogni singolo impulso e invito al bere, sia che provenga da un desiderio personale, sia che si verifichi in risposta a delle ‘aspettative’ esterne: significa rifiutarsi di seguire l’ormai prevalente cultura del bere con l’obiettivo di sviluppare una maggiore consapevolezza circa il proprio rapporto con il consumo di alcol, indipendentemente dal fatto che tale abitudine sia solo saltuaria o che raggiunga invece un livello patologico. In una società in cui l’eccessivo uso di bevande alcoliche, soprattutto tra i giovanissimi, sembra essere non solo socialmente giustificato e tollerato ma anche l’unico modo di assicurarsi il divertimento, condurre una vita da sobri torna di moda.
In realtà la questione è molto più delicata e forse se da un lato parlare di tendenza può aiutare a diffondere uno stile di vita sano, almeno tra i più giovani, dall’altro potrebbe spingere a sottovalutare le conseguenze di questo vero e proprio fenomeno sociale e mediale. Di fatto, sober curious non è solamente un interessante neologismo o un semplice termine alla moda: successivamente alla sua comparsa e diffusione online, insieme ad altre espressioni quali sober life e sober living, è nata una community che condivide, attraverso i vari social networks, il proprio percorso di guarigione dalla dipendenza da alcol con l’intento di rappresentare un esempio per gli altri. Personaggi famosi e persone comuni si trasformano in veri e propri sober influencers che mettono in mostra le gioie di una vita all’insegna della sobrietà. Inoltre, sulla scia del successo di questo nuovo trend è nato e si è diffuso il così detto sober curious movement che ha ispirato anche numerosi centri per il recupero dalla dipendenza alcolica.
Parlare di questo atteggiamento come di una semplice tendenza alla moda, però, potrebbe sminuirne il significato e la portata. Come spiega la stessa Ruby Warrington in varie interviste, l’intento originale del suo libro era quello di condividere la consapevolezza maturata da un’esperienza personale che le ha cambiato la vita in meglio e scaturita dal suo atteggiamento di curiosità verso le opportunità e le sfide che possono aprirsi ad una persona che decide di abbracciare la totale astinenza dall’alcol come imperativo nella propria quotidianità.
Sebbene venga riconosciuta da molti l’utilità di aver innescato un dibattito aperto circa un problema che rappresenta oggi giorno una vera e propria piaga sociale, il timore di chi si trova dall’altra parte, ovvero di chi purtroppo è alle prese con una grave forma di dipendenza, è quello che dai post spesso pubblicati con leggerezza o con il semplice intento di ottenere un like possa filtrare un messaggio in parte fuorviante e lontano dalla realtà; ovvero, che si possa sminuire la difficoltà e la sofferenza che si nascondono dietro all’arduo percorso di guarigione di chi vive sulla propria pelle la condizione di dipendenza da alcol.
*Dottorato in Eurolinguaggi e Terminologie Specialistiche – Università degli Studi di Napoli “Parthenope”
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