Week-end al CTS tra juventini in fuga e teste nel cesto
(Claudio Sacco) – Nella movida casertana del week-end c’è tanta musica ma c’è anche tanto teatro. Costante è l’apporto dato dal Piccolo di Caserta che nella sua sede in via Louis Pasteur 6, in zona Centurano, continua imperterrito in una programmazione dai ritmi serrati.
Questo al CTS sarà un fine settimana tra il faceto e l’arcano. Infatti per questo sabato 28 gennaio alle ore 21 sul palco del Piccolo ci sarà la compagnia teatrale Il Cicolocchio che proporrà “L’importanza di non essere juventini”, mentre domenica 29 alle 19 l’attore e regista Angelo Bove sarà il protagonista della pièce teatrale “La testa nel cesto”.
Lo spettacolo “L’importanza di non essere juventini”, diretto e interpretato da Fulvio Maura e Angelo Sateriale, è stato scritto dagli stessi interpreti assieme ad Alfonso Biondi e Valerio Vestoso.
Questa la sinossi, Il calcio è passione. Il calcio è esaltazione collettiva. Il calcio è l’orgoglio di identificarsi in una maglia, in una città, in un popolo. Il calcio è l’isteria dell’esultanza, è l’urlo liberatorio dopo un gol. Ma Il calcio non è solo gioia, a volte è anche dolore, sofferenza, ingiustizia, sopruso, raggiro, malafede. Altre volte è rivincita, riscatto, raggiungere un traguardo insperato, è la magia di rinascere dalle proprie ceneri. In definitiva il calcio è lo sport più bello del mondo perché è lo specchio della vita e della società. E il calcio in questo spettacolo diviene un pretesto per parlare delle brutture della nostra cultura, dei vizi della nostra nazione, perché il calcio in Italia parla dell’Italia, è la metafora, è la rappresentazione, una rappresentazione pura, dove si scorgono distillati tutti i nostri pregi ed i nostri difetti. “L’importanza di non essere juventini” è un viaggio tutto italiano all’insegna della sportiva e drammatica comicità.
“La testa nel cesto”, per la regia e l’interpretazione di Angelo Bove, è tratto dall’omonimo libro scritto da Michele Tagliafierro, laureato in teologia e filosofia. La danzatrice in video è Patrizia Di Matteo, i costumi sono di Antonio Sullo, le coreografie di Emilia Marocco, la consulenza cinematografica è del regista Angelo Antonucci, la voce narrante è di Lucio Pesacane, luci e fonica di Paola Pollastro. Sulla scena Angelo Bove, interprete unico di diversi personaggi, porta i protagonisti di questa pièce a muoversi in un contesto fantastico/ surreale, fatto di effetti scenici, videografici e musicali, che offrono al pubblico la possibilità di riflettere sull’ascesa dell’uomo verso il potere incantatore. Questo spettacolou attraversa fugacemente la storia dell’uomo: “finestra per poter guardare e giudicare il passato” e curiosare sul concetto del potere. Per cui si nota che tutti coloro che hanno tramato per arrivare al potere, prima o poi lo stesso potere disillude passando inevitabilmente in altre mani, ritorcendosi contro loro stessi. Non a caso vengono riecheggiate le decadenze di autorevoli personaggi del passato, iniziando dai faraoni egiziani e passando poi tra le diverse guerre e rivoluzioni fino ad arrivare a quella di Luigi XVI (la presa della Bastiglia), preso come riferimento proprio in questo spettacolo, il quale, dopo aver fatto decapitare tantissime persone, venne a sua volta decapitato. In sostanza la storia ci rende noto che, dopo la popolarità del potere acquisito (oggi potere politico), puntualmente il tempo ci presenta il conto da espiare. Per cui non è l’uomo che detiene il potere come erroneamente può credere, ma inevitabilmente rimane, senza rendersi conto, incantato e nello stesso tempo “incatenato” proprio nell’idea stessa di voler ascendere al potere, supponendo di avere più degli altri la capacità, l’opportunità e l’intelligenza. Allora cosa deve o può fare l’uomo per non essere assoggettato dal fascino di questo potere ingannatore, visto che non è o non può essere quasi mai cosciente della rivalsa che gli viene tesa dal potere stesso, con la complicità del tempo? Ai posteri l’ardua sentenza!
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